Una casa di Bambola, Filippo Timi si fa in tre al Teatro Argentina
Sin dalla sua prima rappresentazione avvenuta circa 140 anni fa, il testo di Casa di Bambola di Henrik Ibsen è stato universalmente considerato come il manifesto dell’emancipazione femminile, un esplicito e scandaloso atto di ribellione da parte di una donna-vittima che si affranca dal marito borghese e dal suo ruolo di moglie e di madre bambola, per fuggire e ritrovare se stessa. La particolare versione della regista Andrée Ruth Shammah, in scena al Teatro Argentina fino al prossimo 19 febbraio, ne ribalta la tradizionale lettura femminista, per concentrare invece lo sguardo sugli uomini presenti nell’opera ibseniana, sulla loro solitudine e grande fragilità. L’altro aspetto assolutamente nuovo è che, considerandoli tre facce di uno stesso uomo, i personaggi maschili sono tutti impersonati da un unico interprete: un impareggiabile e istrionico Filippo Timi che in questo spettacolo, pur contenendo la sua esplosiva indole audace, dà il meglio di sé, riuscendo a caratterizzare nella psicologia e negli atteggiamenti i tre diversissimi Torvald Helmer, il Dottor Rank e l’usuraio Krogstad.
Malgrado gli interventi estremamente originali, la messa in scena si attiene fedelmente al testo che narra la storia di Nora (Marina Rocco) l’amata e vezzeggiata moglie dell’avvocato Helmer che, per poter pagare il soggiorno in Italia necessario alla guarigione del marito, contrae un debito in gran segreto con il procuratore-usuraio Krogstad, falsificando la firma del padre. Promosso a direttore di banca, Torvald vuole licenziare Krogstad, suo dipendente, poiché lo considera un uomo dall’infima morale, ma anche per poter assegnare il suo posto alla Signora Linde, l’amica di Nora rimasta vedova e giunta in città alla ricerca di un lavoro. Lo spietato usuraio minaccia allora Nora di svelare il segreto del debito se non riuscirà ad intercedere per bloccare il suo licenziamento. Il tentativo di convincere Torvald risulta vano, così si rivela necessario l’intervento di Christine Linde per far recedere Krogstad dal ricatto. Alla fine però Nora, stanca di esser trattata come una bambola e considerando il marito come un estraneo che non la capisce e non l’ha mai capita, decide di gettare via la maschera indossata fino a quel momento e di lasciare per sempre Torvald e i loro tre figli.
Tradizionalmente vista come una vittima, del padre prima e del marito poi, in realtà Nora appare qui come una bugiarda e una manipolatrice fin dalle prime battute, una donna che anziché condividere dubbi e difficoltà con il suo uomo, tutt’altro che gelido e “padrone”, gioca a far la mogliettina graziosa e seducente, cercando di manovrare le azioni di Torvald e persino i suoi sentimenti. “La prova più difficile e affascinante che abbia mai affrontato” afferma il talentuoso Filippo Timi, che riesce abilmente a passare da un personaggio all’altro con velocissimi cambi di scena che spesso riescono a mettere in difficoltà lo spettatore. Interpreta dunque tre aspetti dello stesso universo maschile in crisi, che cerca in realtà in tutti i modi di mettere in discussione se stesso: è sensibile, si apre al dialogo, è pronto a cambiare il suo modo di essere, ma a farlo insieme a sua moglie, in un percorso di crescita condiviso. Quello che viene fuori da questo gioco al massacro fatto di inganni e menzogne, ma anche di passione e di tormento, è un complesso thriller familiare che travolge lo spettatore grazie anche a questa lettura inedita che svela gli aspetti più oscuri delle dinamiche tra moglie e marito, ma soprattutto per merito di due protagonisti di grande spessore e di un Filippo Timi che seduce e ammalia il pubblico oltre che con la sua bravura, improvvisando una convincente, accattivante, inaspettata, tarantella napoletana.
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