Gambia: Jammeh fugge con l’1% del pil
Nelle ultime settimane è successo di tutto in Gambia: il paese dell’Africa Occidentale, grande quanto l’Abruzzo e ospitante neanche 2 milioni di persone, ha visto dal 1992 ad oggi governare incontrastato Yahya Jammeh, personaggio che a soli 28 anni prese il potere grazie a un colpo di stato. Le elezioni dello scorso dicembre hanno però visto uscire vincitore l’imprenditore edile Adama Barrow, ponendo così fine al regime di Jammeh.
Quest’ultimo, se inizialmente aveva dichiarato di essere pronto a un’uscita dalla scena politica in caso di sconfitta ai seggi, successivamente ha ritrattato la promessa fatta (tra l’altro ribadita pubblicamente nei primi giorni del dicembre scorso attraverso la tv di stato) provocando frizioni e contrasti internazionali. Immediatamente il Senegal ha minacciato un intervento militare qualora il presidente sconfitto non avesse lasciato la carica. Il 19 gennaio le truppe senegalesi, nell’ambito di un’operazione che avrebbe visto protagonisti anche altri quattro paesi dell’ECOWAS, varca i confini nazionali e fa il suo ingresso in Gambia, attraendo l’attenzione di gran parte della stampa estera. L’intimazione per Jammeh, sorretta da una risoluzione del Consiglio di sicurezza Onu favorevole alla successione di Barrow, era quella di lasciare il paese entro le 12 del 19 gennaio, ma l’uomo che ha detenuto il potere per ben 22 anni nel piccolo paese dell’Africa occidentale partirà con il suo jet privato solo due giorni dopo.
La gente è euforica per le strade, non sta più nella pelle, almeno stando a quanto si apprende dai grandi network internazionali. Jammeh avrebbe affamato il Gambia negli ultimi 10 anni, portando la disoccupazione giovanile a toccare il 39% , tanto che soltanto nel 2016 sono stati 10000 i giovani provenienti da questo paese a sbarcare in Italia. Addirittura secondo il Guardian, il popolo non avrebbe accettato una nuova vittoria alle urne dell’uomo che ha accentrato il potere nelle sue mani dal ’94 in poi, un uomo che, stando a quanto scrive il New York Times, ha affermato pubblicamente di poter governare “a billion years”.
Tra le altre nefandezze di Jammeh riportate dai big dell’informazione vi sono la caccia alle streghe, la capacità di curare l’AIDS mediante erbe, la negazione dei diritti per gli omosessuali e la repressione dei giornalisti stranieri. Tutte macchie sulla carriera politica del longevo Presidente che apparentemente gli sarebbero costati il dissenso popolare. Tante, troppe volte negli ultimi anni abbiamo assistito alle cosiddette “guerre per i diritti umani” poi rilevatesi stretta conseguenza di grandi interessi economici o geopolitici: dalla Libia alla Siria passando dal Nicaragua l’elenco è pressochè infinito.
In questo caso si parlerebbe di un paese privo di grandi interessi finanziari o strategici, la cui economia si basa su un’agricoltura di sussistenza (in particolare la produzione di arachidi contribuisce al 6 % del pil) e sull’allevamento. Non vi sarebbe quindi spazio per le dietrologie, nonostante occorra sempre essere allertati ogni volta che i riflettori dei media occidentali si accendono su un paese del terzo mondo in rivolta.
Dunque mentre il neo presidente proclamato a Dakar si trovava ancora in Senegal, Jammeh lasciava il paese a bordo di un charter. Peccato che, stando sempre a quanto si riporta su parte della stampa, avrebbe portato via con se ben 11 milioni di dollari, circa l’1 % del pil di una nazione il cui prodotto interno lordo non arriva a toccare neanche il miliardo di dollari. Un fatto grave che ha portato uno dei principali consiglieri del neo presidente Barrow ad affermare che «le casse dello stato sono vuote». Oltre al denaro l’ex presidente avrebbe portato con se in esilio, sembrerebbe in Guinea, anche alcune auto di lusso.
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