“È un processo irreversibile” Bellocchio e Iannace in scena all’Argot
Una commedia sì, ma furbescamente amara. Arcangelo Iannace scrive e interpreta insieme a Pier Giorgio Bellocchio uno spettacolo leggero, ma incredibilmente profondo che fa superare la maldisposizione a causa dell’eccessivo ritardo sulla tabella di marcia. Due uomini si trovano a possedere l’onore e l’onere di avere nelle mani il destino dell’Umanità. Il mondo sta per collassare e, al segnale, i due prescelti dovranno attivare uno strano marchingegno. Chi, come, quando? Sono domande senza risposta, poiché non ha senso porle. L’imminenza dell’Apocalisse porta il dialogo tra i due personaggi senza nome a sviluppare quella rete di pensieri, paure e relazioni umane dall’urgenza universale. Sulla scena i due attori danno l’avvio ad un dialogo brioso e ritmato; si passano continuamente la palla tra le ansie di uno e le debolezze nascoste dell’altro. La leggerezza di un testo immediato e di facile immedesimazione è resa ancor più potente dalla sintonia che lega i due interpreti.
Ma quel sorriso che sorge sulle nostre labbra non è frutto di freddure o di battute ricercate; si tratta piuttosto dei paradossi delle nostre esistenze smascherati nell’unico momento in cui non avremmo più niente da perdere: la fine del mondo. Tutto si gioca infatti su questo attimo di sospensione tra la consapevolezza (ma forse neanche troppo consapevole) di ciò e chi non saremo più e l’eterna incertezza dell’Infinito.
Due personaggi in scena, l’attesa di qualcosa (che però qui giungerà) fanno di questo spettacolo un Aspettando Godot contemporaneo che condivide la sfiducia nel mondo del capolavoro dell’Assurdo. Una stessa spada di Damocle pende sulle teste dei protagonisti, tuttavia qui assistiamo ad una riscoperta del linguaggio come forma di conoscenza di sé e del mondo che invece Beckett rinnegava. La riflessione di Iannace che ha generato questo testo è che “l’uomo sia un eroe, suo malgrado. Costretto ad un grande viaggio che ha come obiettivo, la ricerca stessa di un obiettivo, un motivo anche semplice per accettare che tutto debba finire prima o poi”. Il processo irreversibile dell’Umanità è il suo Destino; il senso unico di un vicolo cieco che però ci sottrae al buco nero dell’eternità: senza morte, saremmo persi.
Fino al 22 gennaio al Teatro Argot Studio di Via Natale del Grande, a Roma, il nuovo progetto firmato Argot Produzioni in collaborazione con Tiepolo è un’occasione imperdibile per ridere dei nostri paradossi e riflettere sul significato e lo scopo di essere “umani”.
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