Direzione nazionale del PD, l’atteso scontro fantoccio

Convocazione fantoccio della Direzione nazionale del PD, nessun dibattito solo un discorso di commiato del segretario, Matteo Renzi, che ripercorre i 1000 giorni di governo scavando nel più classico dei sentimentalismi, senza mai chiarire il punto sul futuro del partito.

 

Scanzonato e per niente preoccupato, così il premier Matteo Renzi si presenta in Direzione nazionale prima della formalizzazione ufficiale delle sue dimissioni per la tanto attesa resa dei conti interna. Un faccia a faccia atteso ma di fatto inesistente, tutto si svolge come se Renzi passasse di lì per caso: un breve discorso, totale assenza di dibattito e contenuti. L’analisi frettolosa ha poco a che fare con la logica politica, il premier dimissionario traccia un excursus dell’azione di governo, dal pulpito di via Sant’Andrea delle Fratte si abbandona a un tripudio di ringraziamenti: «Vorrei che il Pd fosse orgoglioso del fatto che ci sia qualche diritto in più e delle tasse in meno» e ancora «abbiamo dato un’impronta organica: meno tasse, più diritti». L’impressione è che stia ritirando un premio, non lo scotto di una tremenda sconfitta. Come al solito sfida alle opposizioni, mal celando una chiara intenzione di voto anticipato: «Propongo una linea politica a questo partito: noi non abbiamo paura di niente e di nessuno. Se le altre forze politiche vogliono andare a votare dopo la decisione della Consulta lo dicano chiaramente. Il Pd non ha paura della democrazia. Se invece vogliono un nuovo governo che affronti la legge elettorale e gli impegni internazionali, il Pd è consapevole degli impegni ma non può essere il solo a caricarsi il peso».

 

Non manca un pensiero per gli oppositori interni: «So che alcuni di voi hanno festeggiato, lo stile è come il coraggio di Don Abbondio. Anche io alzo il calice, perché quando hai la fortuna di governare il Paese più bello del mondo non hai mai il diritto di mettere il broncio». L’ultimo pensiero dedicato ai terremotati, alle famiglie degli scomparsi e ai carcerati: «Tutti noi continuamo ad avere in testa i luoghi colpiti dal terremoto», dice citando il sindaco di Amatrice. E conclude rivolgendosi ai ragazzi nei carceri minorili: «Il mio ultimo pensiero va ai carcerati, ai ragazzi del carcere di Napoli e del carcere minorile».

 

Finisce così l’attesissima Direzione nazionale del PD, senza querelle e senza confronto. Due gli iscritti a parlare: Walter Tocci e Sergio Lo Giudice, diremmo senza troppo successo. Il primo, in particolare, visibilmente contrariato dal ritardo strategico dei renziani, tant’è vero che mentre sta parlando il segretario è già in macchina verso il Quirinale. Inizia così, il botta e risposta tra Tocci, Debora Seracchiani e Matteo Orfini che giustificano in diversi modi questo dialogo a senso unico. «Non tutti sono di Roma, ci sono dei parlamentari europei, c’era il problema di farli arrivare qui» ribatte la Serrachiani; «il segretario ha annunciato la sua posizione che formalizzerà al Quirinale, era opportuna una discussione qui, se non ci sono le condizioni non parlo a dispetto dei santi» replica Tocci. «Faremo la discussione con tutte le varianti in gioco, senza i retroscena dei giornali» conclude Orfini ribadendo la convocazione “permanente” della direzione.

Direzione nazionale del PD
Walter Tocci

Appare lampante l’intento della segreteria nazionale: si è preferito congelare la discussione per sondare la situazione, senza scoprire le carte prima di avere certezze. L’ala renziana glissa, all’indomani di una sconfitta storica, anche se prima o poi il conto va saldato, che lo si faccia in Direzione o alle urne.

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@FedericaGubinel

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