Angelicamente Anarchici, il quinto Vangelo secondo Don Gallo e De André
Don Andrea Gallo e Fabrizio De André, due genovesi che hanno vissuto la loro vita costantemente in “direzione ostinata e contraria”. Michele Riondino li celebra al Teatro Vittoria in un lungo monologo dal titolo Angelicamente Anarchici che interpreta e dirige, accompagnato dagli arrangiamenti eseguiti dal vivo da Francesco Forni, Ilaria Graziano e Remigio Furlanut.
Sul palcoscenico Riondino dà voce a Don Gallo nel racconto del suo quinto Vangelo, quello che prende forma ispirandosi alla poetica del grande Faber, legato al sacerdote, oltre che da una forte amicizia, anche da quel comune ideale partigiano, di coscienza civile e soprattutto di riscatto della condizione umana emarginata.
Il “prete di strada”, come lui stesso si definiva, è rappresentato (o meglio, evocato) dal giovane attore con i suoi tratti distintivi: gli immancabili sigaro e cappello. Passato a miglior vita, don Gallo si trova in una sorta di limbo in cui è costretto a rapportarsi e dialogare con la sua ombra che via via assume le sembianze di un cardinale, rappresentante dunque l’istituzione ecclesiastica con la quale in vita il prete si è sempre confrontato. Riferendosi a un dio immaginario, il sacerdote racconta se stesso e frammenti della sua vita attraverso le parole di De André. Le parabole contenute nei suoi brani prendono forma e narrano dell’uomo Andrea, ma anche del sacerdote anarchico sempre in difesa degli umili e degli offesi, fondatore di una comunità che ancora oggi accoglie persone in difficoltà: tossicodipendenti, ex prostitute, ex criminali, tutti quegli individui emarginati a cui anche il cantautore ha dedicato molti dei suoi versi, ponendo quella stessa “umanità dolente” che bussava alla porta di don Gallo, al centro dei suoi testi.
Alle parole si intrecciano quindi le musiche di alcuni tra i più famosi brani di Faber come Un giudice, La canzone dell’amor perduto o La ballata dell’amor cieco, cantati e suonati dal vivo. Le parole prendono forma e il cuore strappato di cui si narra in quest’ultimo brano appare concretamente tra le mani dell’attore, così come la narrazione diventa musica fino a che lo spettacolo si trasforma in un vero e proprio concerto. Dopo 70 minuti di monologo sostenuto da videoinstallazioni ed effetti visivi, cade a terra il telo bianco che faceva da sfondo e quello che resta sono solo i versi e la musica di quel meraviglioso e universale “vangelo laico” che è la poesia di Fabrizio De André.
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