Il pedagogista familiare come motore di cambiamento sociale

In una realtà sociale che ha sempre più nel conflitto una delle sue cifre caratteristiche e che in tale processo coinvolge anche le sue istituzioni cardine, tra cui la famiglia, quella del pedagogista familiare è figura dalla quale oggi sempre meno si prescinde.

E non soltanto perché i coniugi – o le famiglie, nel senso più ampio e variegato del termine –  ricorrono sempre più spesso a tale figura di mediazione, gestione del conflitto e coordinamento tra le parti, ma anche perché le istituzioni stesse, il legislatore in primis, accolgono le sollecitazioni e richiedono l’apporto del pedagogista familiare, nell’attuale definizione di un nuovo modo di intendere il diritto di famiglia e garantire i diritti dei minori.

Ne parliamo, allora, con la Presidente dell’Associazione Nazionale dei Pedagogisti Familiari, la Prof.ssa Vincenza Palmieri.

  • Prof.ssa Palmieri, da dove nasce questa diffusa esigenza da parte delle famiglie di ricorrere ad un pedagogista familiare?

“Nasce, prima di tutto, dalla natura stessa dell’istituzione familiare, in continua evoluzione; in più, è certo che la realtà attuale abbia acuito, già nell’arco degli ultimi decenni, i propri tratti conflittuali in ogni suo ambito. La famiglia non ne è rimasta immune, anzi, ne è quotidianamente profondamente scossa. E’ per questo che, in momenti di snodo particolare, si avverte la necessità di ricorrere ad una figura dotata di particolari sensibilità ed estese competenze professionali, in grado di accompagnare le parti lungo un percorso spesso di difficile gestione. Sto parlando di una separazione, di un divorzio, di un affido condiviso o magari della situazione di nonni che non vengono riconosciuti all’interno del nucleo familiare, così come la gestione emotiva del “fine vita”, per le famiglie dei malati terminali, ma non solo.

La mission del pedagogista familiare è quella di formare, migliorare, ripristinare, risolvere, tenere unita la famiglia e i figli, anche in questi passaggi complicati”.

 

  • Passaggi complicati ma sempre più comuni, nella nostra quotidianità sociale.

“Esattamente. Lo dimostrano, tra le altre cose, l’altissimo numero di iscrizioni all’interno del Registro Nazionale (ex Albo) dei Pedagogisti Familiari, nonché l’istituzione di Centri Territoriali – primo tra tutti in Trentino – volta a radicare questa figura a livello locale.

In più, uno dei temi cardine, quello delle competenze relative al coordinamento genitoriale, ha fatto sì che oggi siano gli stessi Tribunali a fare richiesta di un intervento in tal senso. Una pratica che in caso di affido condiviso dei figli, in una situazione di alta conflittualità, permette di non delegare ai soli genitori la gestione del bambino, evitando l’affido ai servizi sociali.

Nel 2017, poi, ci sarà il primo Congresso della Pedagogia Familiare, con la presentazione della Carta dei Pedagogisti Familiari”.

 

  • Qual è la natura delle competenze di cui deve essere provvisto il pedagogista familiare?

“Sono parecchie, ampie e prescindono da un unico ambito disciplinare: l’approccio, infatti, è quello multidisciplinare coordinato, che utilizza i più vari strumenti propri della relazione d’aiuto.  E, ovviamente, sono competenze in continuo aggiornamento.

Proprio in questi giorni prenderà avvio la sesta edizione del Master INPEF in Pedagogia Familiare; nonostante il costante successo in termini di adesione da parte degli studenti in tutte le edizioni passate, abbiamo deciso di introdurre significativi elementi di novità. Proprio per essere al passo con l’evoluzione delle problematiche familiari, nonché essere in grado di prevederne i possibili prossimi sviluppi. Sono aggiornamenti che procedono in accordo con le linee guida delle Istituzioni competenti e con gli elementi proposti dall’attuale giurisprudenza, ma raccolgono anche le suggestioni fornite dai tanti casi di cronaca quotidiana.

 

  • Parla di prevedere gli sviluppi futuri. Con quale ruolo?

Con il nostro lavoro, siamo insieme interpreti e motore del cambiamento sociale e culturale. Siamo stati ispiratori dell’attuale Legge sui Bisogni Educativi Speciali, che permette agli studenti di ricevere un aiuto senza passare attraverso una diagnosi, e abbiamo affermato che prima del diritto allo studio bisogna garantire quello all’apprendimento.

Lavoriamo a emendamenti, in affiancamento alla Commissione Infanzia, a relazioni parlamentari per l’individuazione dei bisogni delle fasce fragili. Stiamo agendo nella direzione di una rivitalizzazione della Legge 285/97 e abbiamo avuto un ruolo propulsivo importante nell’ispirazione della sentenza della Cassazione secondo cui non si possa imporre la psicoterapia alle famiglie o alla coppia che si separa. Lavoriamo con le Istituzioni italiane ed estere: possiamo dirci molto soddisfatti della collaborazione con i governo dell’Ecuador, che ha riportato a casa parecchi bambini altrimenti sottratti alle proprie famiglie”.

 

  • Cosa apprende, dunque, uno studente o un professionista che aspira a diventare pedagogista familiare?

“Non si tratta solo di acquisire competenze nell’ambito per esempio della Didattica Efficace o per il Sostegno scolastico e genitoriale, combattendo il rischio di una sempre più comune e drammatica medicalizzazione delle problematiche, ma anche di stimolare sensibilità e fornire elementi di base relativi al Diritto di Famiglia, al Diritto dei Minori, agli episodi di violenza domestica, alle questioni relative ad affido e adozione, alla mediazione e consulenza familiare, alla realtà delle case famiglia e delle comunità educanti.

Quello di fronte al quale si trova il pedagogista familiare, dunque, rappresenta molto di più di un semplice percorso formativo. Ed è per questo che anche la formazione che mettiamo in atto è di natura fortemente pratica: si studiano e si analizzano i casi concreti, così come si apprendono le tecniche di colloquio, ascolto, mediazione, di progettazione degli interventi di sostegno familiare, nel rispetto dei diritti umani, l’ascolto in caso di abuso e violenza, il sostegno alle vittime e ai familiari delle vittime, il coordinamento genitoriale, le relazioni con la famiglia d’origine in caso di affido o adozione, l’accoglienza scolastica e la didattica interculturale, i bisogni educativi speciali e ogni altra specificità concreta in cui si declina la storia delle famiglie oggi, nel nostro Paese e non solo.

Il punto fondamentale è quello di essere presenti lungo tutto l’arco della vita: dai bisogni del bambino, fino al fine vita. Perché laddove c’è una famiglia, in qualsiasi sua forma, ci può essere un pedagogista familiare”.

 

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@ValeriaBiotti