Al Teatro dell’Orologio “Costellazioni”: le infinite possibilità dei mondi paralleli
La fisica quantistica presuppone che la realtà sia un’insieme di possibilità potenzialmente infinite. Partendo da questo assioma ogni minimo gesto quotidiano si verificherebbe in molteplici variazioni, tante quanti sono gli universi paralleli esistenti. Una teoria estremamente affascinante, complessa da spiegare, ma in realtà incredibilmente elementare nella sua applicazione, tanto che il drammaturgo inglese Nick Payne, cogliendone le potenzialità artistiche, ne trae un testo teatrale dinamico e travolgente. Una drammaturgia così efficace che il regista Silvio Peroni la porta in scena al Teatro dell’Orologio, così che il ruolo di indagare quanto la realtà sia “elastica” e “malleabile” è affidato a Orlando e Marianna, una giovane coppia interpretata da un fantastico Jacopo Venturiero e da un’altrettanto talentuosa Aurora Peres.
In una serie di circostanze frammentate nel tempo e nello spazio, che li vede conoscersi, frequentarsi e affrontare tradimenti e malattie, i due protagonisti di Costellazioni mostrano i diversi modi in cui i loro incontri sarebbero potuti andare determinati dal caso, da una scelta, da una variazione di tono o da un detto o non detto, infinite sliding doors tutte potenzialmente accettabili. Orlando e Marianna rivivono le stesse situazioni con inclinazioni diverse, ripetono le medesime battute con sottili variazioni che in contesti differenti assumono significati che possono stravolgere tutto, anche la vita stessa.
I due attori si muovono con sicurezza in un perimetro privo di qualsiasi oggetto scenico, assistiti solo da un suggestivo apparato di luci (disegnato da Valerio Tiberi) che scandisce il ritmo incalzante di quegli stralci di quotidianità, ovvero il susseguirsi di 100 scene in 75 minuti che i due protagonisti alternano in modo magistrale, in una impegnativa prova attoriale che lascia senza fiato, divenendo sempre più difficile man mano che il ritmato dialogo segna il ripetersi dell’azione con differenze sempre meno percettibili. Un testo complesso dunque, che prende le mosse dalla teoria del caos, ma che ciononostante, i due interpreti riescono a rendere tutt’altro che caotico, bensì naturale e spontaneo. Se è vero che “il teatro non è altro che il disperato sforzo dell’uomo di dare un senso alla vita” questo spettacolo ne sottolinea forse proprio la sua insensatezza e mutabilità, facendoci riflettere su come ogni sfumatura, anche la più apparentemente banale, possa assumere valore determinante sulle infinite combinazioni di incontri e possibilità.
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