Island of Despair, Amnesty accusa l’Australia di torture
C’è una piccola isola, a largo delle coste australiane, che si è guadagnata il triste appellativo di The Island of Despair, l’isola della disperazione. Si tratta di Nauru, minuscolo Stato insulare indipendente dove si trova uno dei centri per migranti finanziati dal governo australiano. Qui vengono deportati e vivono più di mille richiedenti asilo senza un visto valido che il paese rifiuta di accogliere. Poteva essere archiviata come una storia tra tante, in un mondo in cui sono sempre più numerosi i Paesi che chiudono le porte a chi fugge da guerre e miseria, almeno fino a quando il rapporto di Amnesty International Island of Despair non ha svelato il trattamento disumano inflitto agli ospiti del centro con la complicità del governo australiano. Il report è il risultato di oltre 100 interviste a rifugiati e personale impiegato a Nauru, condotte tra luglio e ottobre 2016. Il quadro è spaventoso: si parla di abusi verbali e fisici, torture, carenza di assistenza medica e violenze di ogni genere, anche sessuali, anche su bambini. L’Australia, che rifiuta da tempo di fare la sua parte nell’emergenza mondiale relativa all’immigrazione, finanzia il centro affinché le persone che vi arrivano siano impossibilitate a varcare la frontiera. Ancora più grave, secondo Amnesty, è la consapevolezza del governo di ciò che succede sull’isola. Le istituzioni australiane sono al corrente dei fatti e, semplicemente, voltano la testa dall’altra parte.
Island of Despair: L’Australia e il rifiuto dell’accoglienza
L’approccio australiano all’immigrazione, si legge nel rapporto, consiste nello «scoraggiare chiunque non possieda un visto valido a provare ad entrare nel paese». I migranti irregolari intercettati, provenienti soprattutto da Afghanistan, Iraq, Somalia, Sri Lanka e Siria vengono deportati a Nauru, dove molti di loro si ammalano o iniziano a soffrire di disturbi mentali. L’operazione intende mantenere sicuri i confini australiani. Ma l’ostinatezza del governo infligge a queste persone un danno enorme, e spesso irreversibile. Il centro, dice Amnesty, è tenuto ben nascosto all’attenzione pubblica. L’accesso è quasi sempre negato ai giornalisti, e lo scorso anno l’approvazione del Border Force Act ha introdotto il divieto per il personale impiegato del centro di parlare di ciò che vi succede all’interno, pena la detenzione fino a due anni. «Questa politica è esattamente l’opposto di quello che i paesi dovrebbero fare» ha commentato Anna Neistat, direttrice delle ricerche, una delle poche persone che è riuscita a mettere piede sull’isola: «È un modello che minimizza la protezione e massimizza il danno fisico. L’unica direzione verso cui l’Australia sta dirigendo il mondo in materia di rifugiati è un precipizio».
Una prigione a cielo aperto
Le testimonianze riportate in Island of Despair, una più terribile dell’altra, raccontano di disturbi mentali all’indomani dell’arrivo sull’isola, incidenti, lesioni autoinflitte e violenze di ogni genere. Un detenuto del centro ha raccontato ad Amnesty di aver provato ad uccidersi due volte, la prima cercando di darsi fuoco, la seconda ingerendo del detersivo. Non è l’unico: in molti parlano di tentativi di suicidio. Ciò che spinge le persone alla disperazione, spiega il rapporto è «l’incertezza disarmante riguardo il futuro. Sebbene i richiedenti asilo in Nauru non siano tecnicamente detenuti dal momento che possono muoversi liberamente sull’isola, di fatto vivono come in una prigione a cielo aperto». Un diciannovenne siriano ha descritto così i suoi tre anni passati sull’isola: «Mi sentivo come uno schiavo. Vivere in stato di detenzione ti fa sentire come se avessi fatto qualcosa di male, come se fossi un criminale». Chi ha lavorato nel centro ha parlato di «pratiche senza altro scopo se non quello di infliggere sofferenza alle persone, come cacciarle dalla doccia dopo due minuti o farle aspettare mesi per avere generi di prima necessità quali biancheria intima o scarpe».
L’indifferenza del governo australiano
Le responsabilità del governo australiano, conclude Island of Despair, sono innegabili. È quest’ultimo infatti che si occupa del trasferimento dei richiedenti asilo sull’isola. Le autorità australiane, inoltre, sarebbero costantemente informate sulla situazione nel centro. Gli abusi, in sostanza, sarebbero avallati dalla politica di segretezza del governo australiano: «L’unica conclusione possibile è che le torture e l’angoscia che fanno parte della realtà quotidiana dei rifugiati a Nauru rientrino espressamente nelle intenzioni del governo australiano».
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