Hillary Clinton: chi è davvero “l’anti-Trump”
Fin dal momento della sua candidatura ufficiale, risalente al 2015, tutto il mainstream occidentale non ha esitato a caldeggiare le posizioni di Hillary Diane Rodham Clinton, più semplicemente nota come Hillary Clinton. Certo, il binomio Clinton-Trump ha aiutato e non poco in questa presa di partito: il magnate americano negli ultimi mesi ne ha dette di tutti i colori, molto probabilmente per guadagnare quella dose di consenso tra gli elettori, altrimenti inaccessibile tramite un basso profilo.
Ma un paese come il nostro, ospitante 113 basi militari Usa, da sempre strenuo fan delle campagne militari per la pace targate Washington e soprattutto stretto in una morsa geopolitica tra oriente e occidente che tanti problemi sta portando nella fascia Eurasiatica, non può limitarsi a un simpatico teatrino circa le ultime pagliacciate di Trump.
Il primo dato da conoscere per capire chi è Hillary Clinton, è che questa sia stata per i primi 4 anni dell’amministrazione Obama a capo del Dipartimento di Stato Usa. Carica equivalente al nostro ministero degli affari esteri, quello del segretario di stato è un compito delicato per una nazione come quella Statunitense, da sempre impegnata in avventure militari estere tese al ripristino di principi democratici e al rispetto dei diritti umani, ma in realtà mirate all’egemonia economica e politica in più punti del globo.
Come l’ha ricoperto la candidata alla White House? Egregiamente. Guerra in Libia, colpo di stato in Honduras, primavere arabe e prime avvisaglie del futuro conflitto siriano sono tutti eventi strettamente connessi all’attività politica e diplomatica di Hillary Clinton. La sua linea riguardo la politica estera? Diciamolo all’americana: hawkish. La linea del falco, il classico atteggiamento interventista che negli anni ha visto gli Stati Uniti (direttamente o indirettamente) spargere sangue in Vietnam, Iraq, Afghanistan, Guatemala e tante altre nazioni.
Ma lasciamo da parte il suo passato e concentriamoci sulla Hillary presente. Già nel novembre 2015 la Clinton avrebbe dichiarato al Council on Foreign Relations, come riportato dalle pagine del Guardian, che: «Gli Usa hanno condotto questa lotta (contro il fondamentalismo Islamico ndr) per più di un anno. E’ tempo di far partire una nuova fase tesa ad intensificare e concentrare i nostri sforzi […] non dovremmo farci illusioni circa la difficoltà della missione che abbiamo davanti. Ma se Tiriamo dritto con forza su entrambi i fronti, tramite l’aviazione, con truppe di terra o anche diplomaticamente, io credo che possiamo schiacciare l’Isis».
Sembrerebbe quindi che la Clinton sia il profilo perfetto per rovesciare drasticamente gli 8 anni d’indecisione e cautela che hanno contraddistinto l’amministrazione Obama. La sua linea è la stessa da anni, ma nessuno sembra ricordare episodi quali il suo speech interventista nel giorno del voto al congresso circa la guerra in Iraq. Un’analisi approfondita sulle scelte in politica estera della Clinton non può certo basarsi esclusivamente su una dichiarazione, si rischierebbe una topica colossale. Dunque è il caso di fare un po’ più di chiarezza.
Nel marzo del 2016 il noto sito web Wikileaks avrebbe rivelato 30322 email appartenenti al server privato di Hillary Clinton e alcune di queste sono davvero interessanti. A causa di queste la Clinton sarebbe incappata in una controversia politica di non poco conto, dato che avrebbe utilizzato la propria mail privata per funzioni pubbliche: come riportato in un efficace pezzo del post, la prima giustificazione della Clinton sarebbe stata il fastidio di portare con se due smartphone (uno per le faccende private e uno fornito dal governo).
Ma torniamo ai contenuti delle mail: una di queste, rintracciabile sul web come UNCLASSIFIED U.S department of state Case no. F-2014-20439 Doc no. C05779612 date: 12/31/2015 da un’idea chiara ed esemplare (seppur non scientificamente certa) di ciò che il conflitto libico del 2011 ha rappresentato per la comunità internazionale e del profilo diplomatico che la Clinton rappresenta nel mondo: il mittente è Sidney Blumenthal (un collaboratore vicino ai Clinton), mentre l’oggetto del messaggio sarebbe l’interesse Francese per il petrolio Libico e le riserve auree di Gheddafi. Cosa c’entra questo con gli Stati Uniti d’America e la Clinton? Quest’ultima, repetita iuvant, era ai tempi il ministro degli Esteri dello stato che ha guidato la coalizione internazionale nel bombardamento in Libia. Dal testo della mail emerge non solo che Sarkozy aveva ai tempi tutto l’interesse a portare scompiglio nel paese Nordafricano allo scopo di «ottenere una quota maggiore della produzione di petrolio della Libia» (petrolio a quei tempi per la maggior parte in concessione ad imprese italiane) ma addirittura l’ipotesi che Gheddafi avesse in mente di creare una moneta pan-africana sfruttando le sue riserve auree (143 tonnellate di oro e altrettante di argento). In questo modo il franco sarebbe stato accantonato con l’evidente pericolo, per il mondo occidentale, di un’ipotetica indipendenza economica del nord-Africa dall’occidente.
Ma davanti a una reazione simile siamo davvero sicuri che servisse il leak di questa mail?
Che dire poi della Clinton foundation? Tale fondazione, gestita dalla candidata alla Casa Bianca insieme al marito Bill, muove una notevole quantità di denaro al fine di compiere alcune missioni caritatevoli: lotta all’HIV, disastri climatici e gestione delle ricostruzioni in territori disastrati sono solo alcuni dei rami presenti all’interno di questa no-profit. il dato curioso riguarda però i finanziatori della stessa: Arabia Saudita, Qatar, Oman, Kuwait ed Emirati Arabi hanno donato milioni di dollari alla fondazione, come del resto pubblicato sul sito della stessa. Nel 2007 infatti, vista l’imminente investitura della Clinton presso il dipartimento di stato, il governo Americano fece in modo che Clinton foundation e il “transitional team” dell’imminente governo Obama raggiungessero un accordo sulla trasparenza della prima attraverso un memorandum: da Quel momento la Clinton foundation pubblica sul proprio sito web la lista dei propri “donors”.
La domanda più spontanea è: perchè delle monarchie/governi wahabiti, ben lontani da diritti umani quali quelli delle donne o degli omosessuali, dovrebbero mai finanziare una fondazione che almeno apparentemente intende perseguire, tra gli altri, quei fini? Il motivo non è sicuramente chiaro, mentre di certo più palese è il fatto che queste monarchie del golfo abbiano nel recente passato finanziato l’Isis, come del resto ammesso in un’altra delle famose mail da un funzionario della Clinton.
Queste sono alcune delle ombre che circondano la figura di Hillary Clinton, ma ce ne sono molte altre che minano la sua figura di stoica eroina in funzione anti-Trump. Le rendicontazioni a proposito delle attività finanziarie della Clinton Foundation mai pubblicate; le ingerenze della stessa Clinton nella questione Ucraina; il suo ruolo nell’equipaggiamento dei ribelli in Siria e la sua linea sulla guerra in Afghanistan. Dunque stralciamo il velo d’ipocrisia che vede nella candidata alla casa bianca un ottimo profilo e riflettiamo su quelle che potrebbero essere le conseguenze geopolitiche nel caso di una sua vittoria.
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