Al Teatro Vascello un inno all’arte circense con Il Funambolo di Jean Genet
Dal 4 al 7 ottobre 2016 il Teatro Vascello ospiterà lo spettacolo Il Funambolo di Jean Genet. Il circo è da sempre il nodo di più immaginari. Il Funambolo, tratto dal poemetto dell’autore, scansa la figura tradizionale del clown e illumina piuttosto l’arte del “camminare sospesi su di un filo”, sorella e metafora della poesia. Tratto da una storia vera autobiografica, protagonista de Il Funambolo è l’acrobata Abdallah Bentaga (qui interpretato con commovente delicatezza da Giuseppe Zeno) convinto dallo scrittore francese a cimentarsi nella disciplina del filo. Il giovane si sottoporrà ad allenamenti estenuanti che porteranno a due gravi cadute e al finale suicidio nel 1964.
Il magistrale Jean Genet interpretato da Andrea Giordana è una presenza che interviene con la fermezza paternalistica di un sadico profeta. Far vivere dei semplici oggetti come un freddo filo metallico; dare spettacolo, ma non offrirsi al pubblico; cercare la morte e rifuggirla allo stesso tempo; la follia e la solitudine; sono le riflessioni che si rincorrono in un vortice di smarrimento vaneggiante, reso ancora più inquietante da una perversa morte in abiti da clown pronta a fare capolino. La sublime Melania Giglio riesce infatti far vibrare quella fune metallica con la forza calibratissima della sua voce e con la paura che il Pierrot beffardo incute in Abdallah.
Intorno al testo poetico Daniele Salvo non tesse solamente voci, luci, musiche ed immagini di repertorio che amplificano solennemente la carica evocativa di Genet. I due danzatori Yari Molinari e Giovanni Scura, sulle coreografie di Ricky Bonavita, danno corpo al desiderio di leggerezza infinita dell’acrobata e alla vena erotica che si insinua nel rapporto tra il funambolo… e il suo aguzzino. E forse l’unico appunto che si potrebbe fare allo spettacolo riguarda l’eccessivo affollamento sul palco in alcuni momenti di particolare sospensione emotiva.
Il regista, attraverso una messa in scena visionaria, ci pone al centro di un limbo in bianco e nero fatto di curve e piani sovrapposti che ricorda quasi le prospettive surreali di Escher, perfettamente incastonate nel Teatro Vascello. Il cuore del testo è la perdita del contatto con la realtà cui porta la corsa lungo un filo teso all’irraggiungibile perfezione. Mentre la forza del lavoro di Salvo è l’efficacia con cui esso trasmette il significato totale del gioco di specchi tra piacere, ambizione, narcisismo e rischio in cui Genet coinvolge l’acrobata per risalire ad una dimensione meta-poetica. Infatti, le parole conclusive di quei consigli in forma di poema: “volevo infiammarti, non istruirti”, suonano piuttosto come un esperimento superomistico destinato ad incenerire.
Vai alla home page di Lineadiretta24