I Lakota Sioux e l’eterna lotta per la Terra
Passano gli anni, trascorrono i secoli ma la storia sembra non cambiare mai. O forse, più semplicemente, a non mutare atteggiamento sono le persone, troppo affezionate alle loro idiozie, ai vizi o, materialmente, ai propri interessi anche laddove comportino palesi ingiustizie. Così gli indiani d’America, e nello specifico la tribù dei Lakota Sioux, si ritrova dopo secoli a combattere di nuovo per proteggere la propria terra.
Secondo fonti orali, la società – perché proprio di “nazione” si potrebbe parlare – dei Lakota Sioux risale a migliaia di anni fa. In origine, i territori Lakota Sioux comprendevano il Nord e Sud Dakota, il Colorado, il Wyoming e il Nebraska; mentre oggi i superstiti vivono in nove riserve tra il Nord e il Sud Dakota pur mantenendo una lingua, una legge, un’economia, una spiritualità e dei costumi ben precisi. Uno tra questi, come è facile immaginare, è il rispetto per la natura e la terra ed è il principale motivo di protesta che negli ultimi mesi ha infiammato l’animo dei Lakota Sioux, pronti, dicono, a una nuova stagione di resistenza.
Sulla carta sembrerebbe che i nativi abbiano tutte le ragioni dalla loro parte. Le proteste infatti sono scaturite in seguito all’inizio dei lavori di un gigantesco oleodotto, il Dakota Access Pipeline (d’ora in poi DAPL), che prevede l’attraversamento di quattro stati e il passaggio nei pressi della regione indiana Hunkpapa Lakota di Standing Rock. Il guaio è che passerà anche sotto il fiume Missouri e altri corsi d’acqua, fondamentali per l’approvvigionamento idrico di milioni di persone – gli indiani pare siano persone pure loro. Perciò, leggi del 1800 alla mano, il governo americano sarebbe in torto, poiché il “serpente nero” (come è stato soprannominato il mostro petrolifero) è in aperta violazione al Trattato di Fort Laramie del 1868, in cui il governo americano si impegnava a «garantire per sempre l’utilizzo indisturbato delle risorse idriche» ai nativi.
Di nuovo, pertanto, gli indiani d’America sono costretti a difendere le loro terre dalla minaccia dell’uomo bianco, nero questa volta, tanto è invischiato negli interessi petroliferi alla base del progetto DAPL. Intorno a questo, infatti, ballano circa quattro miliardi di dollari, dunque l’Army Corps of Engineers ha comunque dato il via ai lavori, protetti dalla polizia statale e dallo sceriffo. Le proteste dei Lakota Sioux sono iniziate già dallo scorso aprile ed hanno coinvolto diverse altre tribù (Cheyenne, Arapaho, Crow) trasformandosi nel più grande raduno permanente dagli anni Settanta del Novecento, cui ha fatto seguito la dichiarazione congiunta «No Keystone XL Pipeline Will Cross Lakota Lands»1, in cui i movimenti indigeni Honor the Heart, Oglala Sioux Nation, Owe Aku e Protect the Sacred, si sono rivolti direttamente al presidente degli Stati uniti, Barack Obama.
Numerosi, tuttavia, sono stati gli arresti, anche di alcuni capi indiani, nonostante tutte le manifestazioni dei nativi avessero avuto carattere pacifico; e i tentativi di non fare emergere la protesta su scala nazionale e mondiale. Lo stesso governatore del South Dakota, Jack Dalrymple (consigliere di Trump) ha cercato in tutti i modi di soffocare le proteste, ma la battaglia dei Lakota Sioux è riuscita a occupare le prime pagine dei giornali anche grazie al coinvolgimento di personalità del mondo dello spettacolo come Leonardo Di Caprio e Susan Sarandon. In seguito è emerso che Dalrymple è coinvolto con una serie di quote nella società dell’oleodotto e che quindi le sue azioni sono in palese conflitto di interessi.
Ciononostante il 9 settembre un giudice federale ha respinto la richiesta dei Lakota Sioux e delle associazioni ambientaliste e dato il via libera ai lavori. Contestualmente è però scesa in campo l’amministrazione Obama che, attraverso il Dipartimento di giustizia, ha emanato un decreto che sembrerebbe bloccare i lavori di costruzione nell’area in cui si trova la riserva dei nativi.
Il futuro rimane assolutamente incerto, ma la determinazione dei Lakota Sioux rimane salda, soprattutto perché si considerano non come manifestanti ma come protettori della Madre Terra, quindi in ultimo, in lotta per tutti noi contro una palese ingiustizia.
Solo dopo che l’ultimo albero sarà abbattuto, solo dopo che l’ultimo lago sarà inquinato, solo dopo che l’ultimo pesce sarà pescato, Voi vi accorgerete che il denaro non può essere mangiato.
(Toro Seduto, capo della tribù dei Sioux)
Note:
- Questo il testo del comunicato: «La Oglala Lakota Nation ha assunto la leadership dicendo «no» alla Keystone XL Pipeline. Ha fatto ciò che è giusto per la terra, per il suo popolo ed ha invitato i suoi leader ad alzarsi in piedi e proteggere le loro terre sacre. E hanno detto che il KXL non deve attraversare il territorio che si estende oltre i confini della Riserva. I loro cavalli sono pronti. Così come lo sono i nostri. Noi siamo con la Nazione Lakota, siamo al loro fianco per proteggere l’acqua sacra, stiamo con loro perché gli stili di vita indigeni basati sulla terra non siano danneggiati da un oleodotto nocivo e tossico. Riconoscendo la responsabilità di proteggere Madre Terra, i popoli indigeni non permetteranno che questo oleodotto attraversi le nostre aree protette dal Trattato».
A questo link un decalogo di azioni per aiutare la protesta dei Lakota Sioux – testo in inglese.
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