L’incendio nel carcere etiope di Kilinto e le proteste degli Oromo

incendio nel carcere etiope di KilintoL’ incendio nel carcere etiope di Kilinto, che lo scorso 3 settembre ha causato la morte di almeno 23 persone, ha di nuovo sollevato le preoccupazioni mai sopite per il destino dei prigionieri politici detenuti nella periferia di Addis Abeba e per le migliaia di manifestanti scesi in strada negli ultimi mesi. La prigione di Kilinto è nota alla stampa per ospitare membri dell’opposizione appartenenti al gruppo etnico degli Oromo. Il Congresso federalista oromo, partito di opposizione, ha dichiarato di temere per la leadership del partito, detenuta a Kilinto. L’incendio è divampato nella giornata di sabato, poche ore dopo che uno dei leader degli Oromo, Tiruneh Gamta, aveva chiesto il rilascio di tutti i prigionieri politici e la fine della violenza contro i manifestanti. Mentre le cause dell’ incendio nel carcere etiope di Kilinto rimangono sconosciute, il governo ha ammesso che almeno due prigionieri sono stati colpiti dalle autorità mentre tentavano di fuggire dall’edificio in fiamme. Alcuni media locali hanno però messo in discussione la versione ufficiale degli eventi, citando le testimonianze di fonti anonime, che avrebbero visto i secondini sparare colpi d’arma da fuoco contro i prigionieri.

incendio nel carcere etiope di KilintoLa tensione resta alta nel paese. Human Rights Watch (HRW), in un rapporto pubblicato nel giugno 2016, ha denunciato l’uso eccessivo della forza da parte delle autorità governative contro le proteste pacifiche che si sono diffuse in tutta la regione dell’Oromia, la più grande del Paese. Secondo HRW gli Oromo sono stati politicamente, economicamente e culturalmente marginalizzati nel corso degli ultimi decenni. Le stime parlano di circa 500 persone uccise dallo scorso novembre, quando sono iniziate le proteste. incendio nel carcere etiope di KilintoCentinaia gli arresti arbitrari e le sparizioni forzate che hanno alimentato l’opposizione alla brutalità dei metodi  repressivi attuati dal governo etiope. Le proteste testimoniano lo scontento e la profonda crisi di rappresentanza che ha spinto gli Oromo ai margini della vita politica, nonostante costituiscano il più cospicuo gruppo etnico del Paese, rappresentando il 34,49% della popolazione. Ricordiamo infatti che il Congresso federalista oromo (Ofc) non detiene alcun seggio in parlamento, mentre il Fronte rivoluzionario del popolo etiopico, alla cui guida vi è il Fronte di liberazione del Tigré, detiene la totalità dei 547 seggi. Sebbene la composizione dello stato etiope sia caratterizzata da una morfologia etnicamente mista, l’élite dei Tigré, che rappresenta soltanto il 6,07% della popolazione totale, domina tutti gli aspetti della vita pubblica del Paese, e i manifestanti sostengono che ciò non soltanto sia antidemocratico, ma costituisca una minaccia alla co-esistenza pacifica delle comunità.

Proprio la settimana scorsa l’Unione Africana, organizzazione internazionale con sede ad Addis Abeba, ha espresso profonda preoccupazione per i disordini in atto, mentre domenica l’ambasciatore statunitense alle Nazioni Unite ha dichiarato di temere per l’uso eccessivo della forza contro i manifestanti. I rappresentanti del governo hanno respinto le accuse di HRW, così come la richiesta delle Nazioni Unite di inviare degli osservatori internazionali per fare luce sulle morti dei manifestanti.

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