Riforma costituzionale artt. 75 e 77: referendum e decreti
Continuiamo il nostro speciale RiCostituente che compara gli articoli dell’attuale Costituzione con quelli modificati dalla nuova riforma costituzionale promossa dal governo Renzi. L’analisi in questo caso si concentrerà sugli articoli 75 e 77 riguardanti rispettivamente il referendum popolare e la decretazione d’urgenza. Fateci sapere cosa ne pensate, interagite, stilate i vostri pro e contro in vista del referendum!
Riforma costituzionale art.75 77
I TEMI: Art. 75 Cost. (Referendum popolare) e art. 77 Cost. (decreti legge)
L’ANALISI: L’art. 75 tratta del referendum popolare, fonte normativa ben nota ai cittadini in quanto strumento di democrazia diretta. Oggi, tale norma costituzionale recita così: «È indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionale. 2. Non è ammesso referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionale. 3. Hanno diritto a partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati. 4. La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. 5. La legge determina le modalità di attuazione del referendum».
Le parti in rosso sono quelle che cambieranno con la nuova riforma costituzionale. Innanzitutto al primo comma non si parla più di «atti avente valore di legge» ma di atti aventi «forza di legge», non è chiaro quali saranno questi “atti aventi forza di legge” e molto varrà la futura interpretazione della Corte Costituzionale, ma ad una prima occhiata sembrerebbe restringersi il campo d’incisività del referendum ad un numero minore di atti. A cambiare poi il terzo comma, la riforma lo accorcia recitando: «Hanno diritto a partecipare al referendum tutti gli elettori». Infatti, mentre prima si specificavano gli “elettori della Camera dei deputati” così intendendo i diciottenni, oggi questa specificazione non è più necessaria laddove il Senato non sarà più eletto dai cittadini. Ultima modifica, la più corposa, al quarto comma dove la riforma opta per un cambiamento radicale: «La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto o, se avanzata da ottocentomila elettori, la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera dei deputati, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi». Modifica corposa perché dal vecchio sistema del quorum partecipativo (debbono partecipare almeno il 50%+1 degli aventi diritto) e della soglia di maggioranza di voti validamente espressi, si passa al sistema del doppio quorum. Doppio quorum per dire che:
1) O si raccolgono 500mila firme e si mantiene il vecchio sistema
oppure
2) se si raggiungono le 800mila firme il referendum sarà valido se alla votazione partecipano la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera e se si è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. Ciò starebbe a significare che si terrà conto non di tutti gli aventi diritto al voto ma solo dei dati riferiti a quelli che hanno effettivamente votato alle ultime elezioni della Camera, escludendo gli astenuti (ciò abbassa la soglia per la validità del referendum).
Passiamo ora all’analisi dell’art.77 sulla decretazione d’urgenza (salteremo l’art. 76, che è rimasto identico) e sottolineiamo subito il fatto che l’art. 77 passa da 3 commi a 7 commi con la nuova riforma. L’attuale art. 77 recita: «Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. 2. Quando, in casi straordinari di necessità e di urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni 3. I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entri sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti». Anche qui le modifiche all’articolo 77 sono molteplici, per lo più additive. Innanzi tutto al primo comma da «delegazione delle Camere» si passa a «delegazione disposta con legge». La nostra Costituzione non ha fatto, finora, riferimento ad una delega in “senso tecnico” bensì ad un incarico revocabile del Parlamento al Governo. Perciò, si potrebbe pensare che la “tecnicizzazione” di questa delegazione in “delegazione disposta con legge” renda ufficiale ciò che la Costituzione del ’48 vorrebbe ufficioso e cioè il fatto che il Governo abbia poteri legislativi.
Le modifiche al secondo comma sono invece incentrate a valorizzare il ruolo della Camera dei Deputati in caso di decretazione d’urgenza, sarà infatti solo questa Camera ad occuparsene con dei correttivi previsti in alcuni casi di partecipazione del Senato. In definitiva, il testo dell’art. 77 cambia radicalmente non solo perché da 3 commi si passa a 7 commi, ma perché il procedimento di conversione dei decreti leggi si complica e intreccia. Infatti, ci saranno leggi di conversione dei decreti legge con un particolare iter legislativo da concludersi entro 60 giorni. Tali leggi saranno considerate approvate dalla Camera, a meno che il Senato entro trenta giorni (dalla loro presentazione) chieda di esaminarle (in questo caso a 10 giorni dal ricevimento dovrà pronunciarsi, non oltre 40 giorni dalla presentazione della legge alla Camera). Ricordiamo che attualmente i decreti legge vengono adottati in casi “estremi” dal Governo ed entro 60 giorni devono essere inglobati in una legge dal Parlamento, altrimenti perdono efficacia; essendoci il bicameralismo perfetto è chiaro che nella loro conversione intervengono entrambe le Camere. La riforma Boschi, però, supera il bicameralismo e quando si parla di decreti legge tende a riservare la loro conversione solo alla Camera dei Deputati. Ora, se il decreto legge riguarda materie dove il Senato ha competenza e potere, che succede? Il Senato interviene o no? Il testo ci dice di no, ma questo darebbe al Governo dei poteri d’escamotage perfetti per escludere il Senato.
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