Riforma costituzionale: gli artt. 71, 72, 73, 74
Continua il nostro percorso alla scoperta della riforma Boschi: la scorsa settimana abbiamo affrontato uno dei temi più intricati legati alla riforma costituzionale, il procedimento legislativo. Ricordiamo che si passerebbe, qualora la riforma superasse indenne il referendum, da un unico procedimento legislativo a ben 10 differenti maniere per produrre leggi. La puntata di oggi è particolarmente ostile a chi non è abituato a masticare leggi e codici: cercheremo di addolcire la pillola senza svilire il lavoro di analisi. Perciò non spaventatevi.
IL TEMA
Questo nuovo episodio della rubrica RiCostituente si incentrerà su quattro articoli, che riguardano l’iniziativa legislativa, commissioni parlamentari, promulgazione delle leggi da parte del Presidente della Repubblica.
L’ANALISI-COSA CAMBIA?
L’art. 71 si occupa di iniziativa legislativa. Il dettato costituzionale vigente è semplice e intuitivo: «L’iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro delle Camere ed agli organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale. Il popolo esercita l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli.»
In Italia le leggi le fanno il governo (disegni di legge), il Parlamento (progetto di legge), altri organi ed enti autorizzati da legge costituzionale e i cittadini attraverso proposte di legge.
Con la riforma Boschi questi soggetti giuridici mantengono il potere legislativo ma con qualche variante: questo articolo viene sponsorizzato dai tifosi del “sì” come un potenziamento costituzionale del potere d’iniziativa popolare. Sarà veramente così? Il ddl Boschi introduce un nuovo secondo comma: «Il Senato della Repubblica può, con deliberazione adottata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, richiedere alla Camera dei deputati di procedere all’esame di un disegno di legge. In tal caso, la Camera dei deputati procede all’esame e si pronuncia entro il termine di sei mesi dalla data della deliberazione del Senato della Repubblica». Dunque l’iniziativa legislativa non spetterà ai singoli senatori ma all’organo nel suo complesso: abbiamo già visto nelle scorse puntate che il numero dei componenti del nuovo Senato è di 100, maggioranza assoluta significa qui almeno 51 voti. La funzione legislativa del Parlamento riflette quella popolare: stiamo parlando di democrazia rappresentativa, ma non si capisce bene perché qui il nuovo testo costituzionale usi il termine “disegno di legge” anziché progetto. Abbiamo già visto che questa è la denominazione degli atti di legge proposti dal governo.
Per quanto riguarda le leggi d’iniziativa popolare, il quorum per la presentazione di queste alla camera viene alzato da 50mila a 150mila. Scelta giustificabile visto l’aumento rispetto al 1948 dell’elettorato attivo. Ma una scelta di questo tipo, tesa ad accrescere la partecipazione dei cittadini al processo legislativo, andrebbe accompagnata da un meccanismo che permetta alla proposta popolare di giungere in Parlamento. Con la riforma Boschi invece «la discussione e la deliberazione conclusiva sulle proposte di legge d’iniziativa popolare sono garantite nei tempi, nelle forme e nei limiti stabiliti dai regolamenti parlamentari». Una garanzia piuttosto debole. Dovete sapere che i regolamenti di Camera e Senato non rientrano nel ventaglio di sindacabilità costituzionale: la Corte costituzionale, massimo organo giurisdizionale del nostro ordinamento (ciò che questa statuisce va rispettato da tutti) non può mettersi a giudicare sui regolamenti. Ergo regolamenti di Camera e Senato (il secondo, repetita iuvant, neanche più rappresentativo dei cittadini), potrebbero in linea teorica fare i loro comodi in merito alle garanzie su tempi, forme e limiti di deliberazione conclusiva.
Veniamo infine ai nuovi referendum propositivi e d’indirizzo: strumento di democrazia diretta utilissima, un correttivo alle politiche di Parlamento e governo che non dia troppo spazio a derive autocratiche di questi due organi istituzionali. La domanda è soltanto una: perché riformare mezza Costituzione e rimandare a futura legge costituzionale? Non solo: una volta raggiunto questo traguardo (non così scontato) bisognerà attendere il placet di Camera e Senato per le modalità d’attuazione. Credere che sia davvero difficile una buona riuscita di tutto ciò è pessimismo?
All’art. 72 merita un richiamo particolare il nuovo istituto del voto a data certa. Il nuovo comma 7 recita infatti che «il Governo può chiedere alla Camera dei deputati di deliberare, entro cinque giorni dalla richiesta, che un disegno di legge indicato come essenziale per l’attuazione del programma di governo sia iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto alla pronuncia in via definitiva della Camera dei deputati entro il termine di settanta giorni dalla deliberazione. In tali casi, i termini di cui all’art. 70, terzo comma, sono ridotti della metà. Il termine può essere differito di non oltre quindici giorni, in relazione ai tempi di esame da parte della commissione, nonchè alla complessità del disegno di legge. Il regolamento della Camera dei deputati stabilisce le modalità e i limiti del procedimento, anche con riferimento all’omogeneità del disegno di legge.»
È questo un istituto che mira a dotare il governo di un grande potere all’interno dell’assemblea parlamentare. Per casi definiti dal testo di legge come essenziali ai fini del programma dell’esecutivo, quest’ultimo può chiedere alla Camera che il disegno di legge in questione venga fissato all’ordine del giorno per poi giungere a votazione certa (o sì o no) entro il termine di 70 giorni, senza modificazioni. Uno strumento che, unitamente alla costituzionalizzazione dei limiti alla decretazione d’urgenza, conferisce maggiore certezza del diritto all’operato del governo. Un punto a favore della riforma costituzionale dunque.
All’interno del nuovo art. 73 troviamo invece il nuovo istituto dell’impugnativa diretta preventiva dei disegni di legge elettorali. Qualora ad ottobre vincesse il fronte del sì le future leggi elettorali di Camera e Senato, nel caso in cui lo richiedessero un quarto dei membri della Camera dei deputati o un terzo dei membri del nuovo Senato, dovrebbero passare il giudizio di conformità alla carta da parte della Corte Costituzionale. Non potranno essere infatti promulgate prima della sentenza di costituzionalità, da far pervenire inderogabilmente entro 30 giorni dalla richiesta delle camere. Il provvedimento resta quindi sospeso, fino a che la corte non si sia espressa. Un meccanismo evidentemente teso ad evitare recenti errori palesi quali il cosiddetto porcellum.
Infine all’art. 74 l’unico cambiamento della riforma Boschi è il differimento di 30 giorni (si passa da 60 a 90) per la conversione dei decreti legge nel caso di rinvio alla Camera da parte del Presidente della Repubblica.
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@federicolordi93
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