Reato di tortura: il perché dei continui rinvii
Braccio di ferro in Senato sul reato di tortura, il disegno di legge S. 849 che introduce il reato di tortura come fattispecie specifica nel codice penale. Una vicenda tutta italiana che vede il protrarsi della discussione da ben 25 anni dalla ratifica della Convenzione delle Nazioni unite nel 1988.
La discussione in Senato del ddl sul reato di tortura sembrerebbe ad un punto morto a seguito delle barricate issate da centrodestra. La minaccia: ostruzionismo sull’approvazione del testo che a detta di Renato Brunetta (FI) e Fabio Rampelli (Fdi) penalizzerebbe le forze dell’ordine: «C’è un errore di formulazione del testo, che penalizza le forze dell’ordine» dichiara Rampelli. Così lo stallo. Nessuna replica di Matteo Renzi che ha invitato le parti a non distogliere l’attenzione su altri argomenti, come il terrorismo, poco pertinenti. Il Ministro dell’Interno, Angelino Alfano si è invece dichiarato pronto a discutere, sottintendendo un’apertura a eventuali modifiche: «La legge sulla tortura dovrà essere rivista dalla Camera» ha affermato, aggiungendo: «Non è ovviamente in ballo il tema del reato di tortura, bensì il rischio di una sua dilatazione per via interpretativa giurisprudenziale, che possa produrre compressioni dell’operatività delle forze dell’ordine». Perciò il reato di tortura tarda ancora ad arrivare mentre la maggioranza Dem difende il ddl da ulteriori procrastinazioni: «Il provvedimento non si ritira. Le norme sono equilibrate non c’è davvero nessuna messa in mora delle forze dell’ordine. Sarebbe da sconsiderati bloccare tutto» ha ribadito Beppe Lumia , senatore PD e membro della Commissione Giustizia.
Ma c’è davvero una compressione del ruolo delle forze dell’ordine? Tra cavilli e meandri giuridici andrebbe data una lettura complessiva al testo, nonché andrebbero attese le future ed eventuali interpretazioni giurisprudenziali in merito. Ad ogni modo, l’art. 613-bis che introdurrà il reato di tortura recita, così: «Chiunque, con più atti di violenza o di minaccia, ovvero mediante trattamenti inumani o degradanti la dignità umana, ovvero mediante omissioni, cagiona acute sofferenze fisiche o psichiche ad una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia o autorità o potestà o cura o assistenza ovvero che si trovi in una condizione di minorata difesa, è punito con la reclusione da tre a dieci anni». A dar scandalo però sembrerebbe questo ulteriore comma: «Se il fatto è commesso da pubblico ufficiale nell’esercizio delle funzioni ovvero da un incaricato di un pubblico servizio nell’esercizio del servizio, la pena è della reclusione da quattro a dodici anni».
Reato di tortura: perché si rinvia?
C’è davvero, quindi, una compressione del ruolo delle forze dell’ordine in questa previsione? La maggiorazione di pena risulta sproporzionata? Se da un lato un ufficiale di polizia ha certamente più probabilità di qualunque normale cittadino nell’incappare in situazioni a “rischio tortura” per così dire, dall’altro il pubblico ufficiale è custode, nell’esercizio della sua funzione, di tutti quei principi, diritti, garanzie costituzionali che rendono il nostro Paese uno Stato di diritto. Il contemperamento di questi due interessi integra i doveri di chiunque gestisca “pubblici valori”, soprattutto valori che attengo alla giustizia e al senso di giustizia. È, infine, doveroso aggiungere che il reato di tortura è atteso in Italia da ben 25 anni, anni in cui le cronache ci hanno abituati a frequenti episodi del genere: dal G8 di Genova al caso Aldrovandi fino alla più nota vicenda di Stefano Cucchi.