Giro, storico bis dello Squalo
È Vincenzo Nibali il vincitore della ’99 edizione del Giro d’Italia: lo squalo di Messina precede di 52’’ il colombiano Esteban Chaves della Orica Green Edge, di 1’17’’ lo spagnolo della Movistar Alejandro Valverde e l’olandese del Team Lotto Steven Kruijswijk a 1’50’’. Nella tappa conclusiva, con relativa passerella nel cuore di una Torino vestita di Rosa, è Giacomo Nizzolo ad aggiudicarsi uno sprint sospetto a tal punto che la maglia rossa della Trek Segafredo sarà squalificato e costretto a rimandare la sua prima vittoria nella corsa rosa, dopo nove secondi posti, al 2017, lasciando il gradino più alto al tedesco Arndt della Giant Alpecin.
È stato un Giro meraviglioso, una parabola sportiva degna di una grande sceneggiatura in cui è successo di tutto e il contrario di tutto, ma soprattutto è la vittoria di Nibali: un campione che ha saputo soffrire, toccare il fondo e risalire in pochi giorni dimostrando a chi, non più di quattro giorni fa, dava per finite le sue immense capacità di reazione quando il gioco si fa duro e tutto sembra perduto. È stata la vittoria di un team, l’Astana, che non lo ha mai lasciato solo anche nel momento più buio facendo quadrato intorno a lui con Slongo e Martinelli, pronti a metterci la faccia, mentre in corsa con Kangert, Fulgsang, Capecchi, Malacarne e l’incredibile Scarponi che hanno dato tutto per aiutarlo a compiere un’impresa impossibile e degna degli annali del ciclismo. Nibali si aggiudica il suo secondo Giro con due imprese memorabili a Risoul e Sant’Anna di Vinadio, i due tapponi alpini con un gpm dietro l’altro, lavorando ai fianchi i suoi diretti avversari, colle dopo colle, per sferrare l’attacco decisivo nei due arrivi in quota. L’ultimo a cedere è stato Chaves che, per ventiquattro ore, ha cullato il sogno rosa naufragando sul decisivo Colle della Lombarda, ma la sua è una sconfitta dal sapore dolce supportata da un sorriso bello come il sole e consolidato dall’abbraccio tra Nibali e i suoi genitori dopo l’arrivo a Vinadio quando il giro era ormai perduto. Un abbraccio che ha commosso ed emozionato, regalandoci una pagina autentica di ciclismo vero e consacrando questo giovane colombiano, che per un infortunio al braccio aveva rischiato di chiudere anticipatamente la sua carriera, nell’Olimpo dei potenziali vincitori di una grande corsa a tappe.
È stato anche il giro di uno sfortunatissimo Steven Kruijswijk, dominatore assoluto e saldamente al timone oltre ogni previsione fino a venerdì, quando una sua disattenzione lo ha tolto definitivamente dai giochi tra il ghiaccio e la foschia della discesa dell’Agnello. Con una microfrattura alla costola l’olandese è riuscito lo stesso a portare a termine il suo giro e avrebbe meritato il podio, ma il campione resta e la sua competitività è stata più che ampiamente dimostrata. Le occasioni per rifarsi di sicuro non mancheranno. È stato il primo giro di Alejandro Valverde, il campione della Movistar ha corso in maniera scaltra e tatticamente ineccepibile, usando il compagno di squadra Amador come apriscatole per innervosire i suoi rivali, ma i suoi 36 anni si son fatti sentire e, dopo la prima parte di stagione a tutta nelle grandi classiche, lo hanno costretto ad abbandonare il sogno rosa nei tapponi decisivi. Restano gli obiettivi prefissati a inizio giro: una vittoria di tappa e un podio che il murciano ha festeggiato come una vera e propria vittoria, impreziosendo una già straordinaria carriera con l’ennesimo gran piazzamento in una corsa a tappe. È stato anche il giro del lussemburghese Bob Jungels – rivelazione della prima parte del giro, sesto nella generale e maglia bianca – di Brambilla, Ulissi e Ciccone, autori di imprese straordinarie, e di un pubblico che è accorso per le strade lungo tutto il tragitto per tributare un doveroso omaggio al passaggio della kermesse nazional popolare più bella del mondo. Così come degno di nota è anche l’impegno profuso da Damiano Cunego nel tentare la conquista della maglia azzurra, sfumata per un soffio nell’ultima tappa a favore di Mikel Nieve.
In mezzo a tutte queste pagine ricche di storie e vicende umane, brilla la stella di una macchina organizzativa perfetta saldamente nelle mani di Mauro Vegni e Stefano Allocchio e arricchita dalla competenza di Mamma Rai che ha dedicato ore e ore di palinsesto al racconto di ogni singolo istante della corsa con ineccepibile professionalità. Le uniche note stonate riguardano gli abbandoni dei tedeschi Kittel e Greipel, protagonisti di inizio giro e vincitori entrambi di due volate, ma ritiratisi prima delle grandi montagne. Segno inequivocabile di poca professionalità. Poca roba rispetto alla mole indescrivibile di situazioni che, giorno dopo giorno, ci hanno affascinato, deluso e fatto rinascere sotto il segno di Nibali che, sul podio con sua figlia Emma in braccio, alza lo sguardo in cielo consapevole di aver regalato all’Italia intera una perla di rara bellezza. Appuntamento al 2017 con l’edizione del centenario tutta da vivere con il Belpaese ancora protagonista in tutto il suo assoluto splendore.
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