Miracoli del calcio. 3 storie di buon augurio per il Leicester
Miracoli del calcio. Cose che non potrebbero succedere e poi succedono. Cose che ci fanno amare questo sport. Miracoli che, quindi, capitano di rado perché se capitassero sempre non sarebbero così indimenticabili. Il miracolo lo sta per fare il Leicester. Ne abbiamo parlato una settimana fa, e abbiamo anche raccontato la favola Calais. Per dimostrare che alle volte non occorre alzare un trofeo (anche se il capitano del Calais effettivamente lo alzò) per essere i trionfatori. Ma è meglio vincere, ovviamente. Perché il miracolo sia completo. Da quando è uscito l’articolo il Leicester ha pareggiato, Vardy è stato squalificato e il Tottenham, che riveste il ruolo dell’antagonista cattivo ma che poi in fondo non vince da una vita, si è avvicinato di 2 punti. Nulla di irreparabile: i punti di vantaggio sono sempre 5 e di giornate ne mancano solo 4. Quindi il miracolo può ancora avvenire … perché è già successo. Se il Calais c’è andato vicino, c’è in effetti chi ce l’ha fatta. E stavolta racconteremo queste di storie. Storie di vittorie impossibili.
Una manifestazione che si presta a vittorie impronosticabili è l’Europeo per Nazioni. L’edizione del 1992 fu l’ultima a 8 squadre. Anche perché c’erano meno nazioni. C’era l’URSS, ora ci sono un sacco di nazioncine. Si giocava in Svezia e le favorite erano Olanda e Germania. Tra le favorite c’era anche la Jugoslavia. Altra nazione che si sarebbe frantumata in 5. E la Jugoslavia era fortissima. C’erano Savičević, Boban, Šuker, Prosinečki, Stojković, Bocksic. Era tra le favorite. Ma stava per cominciare un conflitto fratricida terribile e, a soli 10 giorni dall’inizio degli Europei, venne esclusa d’ufficio. E venne ripescata la seconda classificata nel girone di qualificazione: la Danimarca. La Danimarca non aveva mai vinto nulla. Aveva una stella: Michael Laudrup che all’epoca giocava nel Barcellona e poco altro. I giocatori danesi erano già in vacanza quando vennero chiamati in fretta e furia per andare a giocare in Svezia. Una preparazione veloce. Un torneo da impreparati. Per evitare figuracce, Laudrup nemmeno ci va. Giudica l’allenatore Richard Møller Nielsen un incompetente catenacciaro. Lui ha appena vinto la Champions (contro la Samp) e di andare a far figure mentre se ne stava beatamente in vacanza non ha nessuna intenzione. Invece gli altri ci vanno, compreso suo fratello minore Brian, consapevoli che non c’è speranza, che tenteranno di fare bella figura. Poi in fondo se si esce dopo il girone di qualificazione si può sempre tornare al mare. La prima partita la pareggiano contro l’Inghilterra, la seconda la perdono con la Svezia. Probabilmente c’è da far le valigie. Ma i miracoli possono avvenire e la Danimarca, a sorpresa, batte la Francia nella terza partita. E si qualifica. In semifinale incontra l’Olanda, i campioni in carica, la squadra dei tre fuoriclasse del Milan, Gullitt, Van Basten, Rijkaard. Non c’è partita. Forse. Invece la Danimarca passa immediatamente in vantaggio con Larsen. Bergkamp, l’olandese triste di sponda interista, pareggia. Larsen segna di nuovo e mentre tutti cominciano a chiedersi “ma chi cavolo è sto Larsen”, Rijkaard pareggia nuovamente. Durante i supplementari i danesi resistono e si va ai rigori. E quando i miracoli avvengono, avvengono in grande stile. Quindi il rigore decisivo non può che sbagliarlo il più grande di tutti: Van Basten. Schmeichel, ancora giovanissimo, glielo para. E i ripescati si vanno a giocare la finale con la solita solida Germania. Avranno pensato che oramai le vacanze erano andate. Avranno pensato che ogni tanto i miracoli succedono. Fatto sta che in finale infilano due volte i teutonici e quelli che nemmeno ci dovevano essere, gli sfavoriti, i ripescati, quelli guidati dal catenacciaro incompetente, alzano la coppa. Alla faccia di quel presuntuoso che sta a Barcellona.
Ma i miracoli a volte accadono di nuovo. Infatti nel 2004 vinse la Grecia. Fino ad allora si era qualificata solo una volta per la fase finale degli Europei e una volta a quella dei Mondiali. Totale: un pareggio e 5 sconfitte con due eliminazioni al primo turno. La squadra è formata da un gruppo di facce da minatori dai nomi impronunciabili pieni di esse. Qualcuno di loro è conosciuto per aver giocato in qualche squadra italiana ma nessuno di loro è un campione. L’allenatore, invece, il tedesco Otto Rehagel, ha già delle vittorie nel suo curriculum ma, insomma, non se lo aspetta nessuno. Il favorito è il Portogallo che gioca in casa che ha un giovane Cristiano Ronaldo, Figo, Deco. Ma c’è anche la Francia di Zidane, c’è anche la Repubblica Ceca di Nedved. Beh, la squadra di facce da minatori li batte tutti giocando l’anticalcio ok … ma li batte tutti. Il Portogallo per ben due volte e diventa Campione d’Europa. Shevchenko, Raul e tutte le altre stelle restano a guardare i Dellas, i Vryzas, i Karagounis che trionfano sul tetto continentale.
Ma i miracoli di questo genere non avvengono solo nelle competizioni per nazioni ma anche in quelli nazionali. Anche di nazioni importanti, calcisticamente parlando. Come, ad esempio, l’Italia. Nella stagione 1984/85 il Verona, da 3 anni tornato in serie A, porta per l’ultima volta lo scudetto in provincia. Una rosa formata da soli 17 giocatori e uno staff tecnico di sole due persone: l’allenatore e fautore di questo miracolo, Osvaldo Bagnoli, e il suo vice. Come lo stesso Bagnoli raccontò, alcuni giocatori, con il D.s. Mascetti, li scelsero sull’almanacco panini. Volevano centrocampisti da 4/5 goal a stagione. In Italia giocavano Maradona, Platini, Cerezo, Rumenigge, Brady, Boniek, Diaz … insomma, i migliori del mondo. Il Verona venne costruito con quelli che facevano le riserve a “sti campioni qua”. Più Briegel, roccioso difensore tedesco, e l’attaccante danese Preben Elkjær Larsen. Di Larsen (che è il suo vero cognome ma visto che da quelle parti ci si chiamano in troppi, molti prendono il cognome della madre, in questo caso Elkjær), è l’immagine simbolo di quello scudetto. Alla quinta giornata il Verona incontra la Juve. Garella, che ha il record di aver vinto il primo scudetto col Verona e il primo scudetto con il Napoli, para tutto. Galderisi, scarto della Juve, porta in vantaggio il Verona ma è nel secondo tempo che avviene quello che consegnerà il danese al Mito. Elkjær si invola sulla fascia, Pioli non riesce a stargli dietro, Elkjær è un cavallo pazzo, potente e veloce, punta l’area, Favero entra in scivolata ma manca il pallone e tocca il piede di Elkjær. Molti, quasi tutti, si sarebbero buttati per avere il rigore ma lui resta in piedi, in piedi e senza una scarpa che Favero gli ha sfilato, rientra sul destro e calcia una bordata proprio col piede che veste solo il calzino. E segna, ma sopratutto, diventa un mito. La cavalcata del Verona sarà un po’ come la corsa di Elkjær: sgraziata, potente e inarrestabile, e la squadra di Bagnoli, uno che aveva fatto l’operaio e scelse di diventare giocatore del Milan solo quando gli promisero 7000 Lire in più rispetto a quanto prendeva facendo l’operaio, vince lo scudetto. A un convegno di allenatori chiesero a Bagnoli qual era il segreto. Lui rispose sinceramente che non ne aveva idea: “il terzino fa il terzino, il mediano fa il mediano” … una cosa semplice. Talmente semplice da essere unica, irripetibile, indimenticabile. Elkjær venne richiesto poi da grandi squadre (arrivò anche secondo al Pallone d’oro) ma, come raccontò, avendo ricevuto un tale amore dalla gente di Verona, non se la sentì di vestire poi un’altra maglia. Lo scudetto gialloblu fu l’ultimo di quei miracoli che ci fanno amare il calcio. Almeno fino a oggi e tutti noi speriamo che il Leicester lo ripeta. Perché se non vincerà sarà stato bellissimo lo stesso ma tutti noi, che amiamo il calcio, speriamo con tutto il cuore che Ranieri, il macellaio di Testaccio, riesca a compiere lo stesso miracolo di Bagnoli, l’operaio della Bovisa. Tutti noi speriamo e desideriamo il Leicester campione. Perché c’è bisogno di Davide che batte Golia, c’è bisogno del povero che trionfa sul ricco, c’è bisogno di miracoli per amare la normalità.
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