“Eco della storia”, in onda Shakespeare: un contemporaneo 400 anni dopo

Perché le opere di Shakespeare vengono ancora lette? Qual è il segreto della sua genialità che lo rende ancora contemporaneo? Questi sono soltanto due dei quesiti posti al pubblico dal conduttore Gianni Riotta insieme al critico teatrale Masolino D’amico, nell’ultima puntata di “Eco della storia”, andata in onda sabato 16 aprile su Rai Storia e dedicata al Bardo dell’Avon: “William Shakespeare. Un successo lungo quattro secoli”.

Scomparso il 23 aprile del 1616, sono trascorsi esattamente quattrocento anni dalla morte di Shakespeare. Il motivo, ancora oggi, del suo successo gioca su due eco della storiafattori: quando viene messo in scena, funziona; i personaggi, oltre ad avere dei caratteri interessanti, consentono l’immedesimazione e una continua reinterpretazione. Un esempio? L’ultima trasposizione cinematografica del Macbeth di Justin Kurzel (2015).

Ma chi era davvero Shakespeare? Durante l’Ottocento, la critica romantica cominciò ad avanzare dei dubbi circa la sua reale identità: forse era Francis Bacon, probabilmente la regina Elisabetta. Anche Sigmund Freud era ossessionato da questa faccenda. Secondo lo scrittore Anthony Brugess, sono tutte leggende moderne e racconta di come invece sia possibile riscontrare nelle sue opere indiscutibili cenni autobiografici. Il fatto che il figlio di William si chiamasse Hamnet, non si può non ricollegare al suo dramma più famoso: Amleto. Non è credibile che Shakespeare abbia battezzato il protagonista come Amlet, senza pensare al suo unico figlio, il cui nome era così simile a quello della tragedia. Sappiamo inoltre che, in Amleto, Shakespeare aveva il ruolo dello spettro, trasformandosi così da padre di Hamnet a padre del principe Amleto.

Ma cos’è più giusto? Conoscere Shakespeare leggendo le sue opere o la rappresentazione scenica di esse? In primo luogo, senza dubbio, è importante la lettura in lingua originale, poiché lo stile è cangiante e si rinnova in ogni testo e addirittura in ogni personaggio. La traduzione, se ne deduce, è una delle operazioni più ardue. L’azione successiva del regista e degli attori è altrettanto difficile e bisogna che questo lavoro sia interpretato continuamente, nella sfumatura della forma e del linguaggio per poter favorire un avvicinamento, con sufficiente rigore, a un poeta dell’età di shakespeariana.eco della storia

Emblematico è il caso delle versioni di Shakespeare rielaborate dal drammaturgo Carmelo Bene. Alla domanda di Gianni Riotta all’ospite Masolino D’Amico, su cosa ne pensasse delle rivisitazioni di Bene, il suo giudizio è stato negativo, dichiarando di non esserne un fan. E la cosa non stupisce per niente. Capire il teatro di Carmelo Pompilio Realino Antonio Bene, non è una facile impresa. È necessario immergersi in una dimensione spazio-temporale in cui atto e azione, chronos e aion, fonema, oscenità, porno, s’incontrano nella destabilizzazione di ogni genere. Carmelo Bene ha cambiato delle cose che si stavano trasformando e dovevano essere mutate, e il suo Shakespeare ne è l’esempio. Non essendo questa la sede per poter elencare le sue molteplici interpretazioni, ne indicheremo due trasmesse in televisione: “Amleto (da Shakespeare a Laforgue)” e “Hommelette for Hamlet”. Il primo, andato in onda su Rai 2 il 22 aprile 1978, riduce la scena all’essenziale volutamente in bianco e nero, dove la vera protagonista è la voce. “Hommelette for Hamlet” fu proposto invece su Rai 3 il 25 novembre 1990 e anche in questo caso, l’opera viaggia fra Shakespeare e Laforgue. In entrambe le rappresentazioni, alcune espressioni in lingua francese si colorano di vendetta. E lo spettatore?Lo spettatore deve solo abbandonarsi all’ascolto. Ma anche, non solo l’orecchio è ascolto, ma l’occhio è ascolto”.

Quando Carmelo Bene incontra Shakespeare in teatro, che è non luogo, abbiamo il piacere di godere di uno stato privilegiato che è assenza, che è presenza: “Vita mia, a noi due!”

 

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