L’età d’oro: il nuovo film di Emanuela Piovano

L’età d’oro è il nuovo film di Emanuela Piovano, che, dopo Le rose blu, Le Complici, Amorfù e Le stelle inquiete, da vita ad un film piuttosto insolito: presentato in anteprima al Festival Internazionale di Bari, anche in virtù del fatto che è stato girato interamente in Puglia, a Monopoli, sarà nelle sale a partire dal 7 Aprile.

L’età d’oro è tratto dall’omonimo romanzo di Francesca Romana Massaro e Silvana Silvestri, che sono anche le sceneggiatrici insieme alla Piovano e Gualtiero Rosella, e parla di una storia vera: il difficile rapporto tra Annabella Miscuglio (nel film Arabella) e il figlio Pietro, peraltro vissuto in prima persona dalla regista, che fu ospitata proprio in casa di Annabella nei primi anni trascorsi a Roma.
Dunque la protagonista, Arabella, interpretata magistralmente da Laura Morante, è una pasionaria del cinema che lotta per mantenere in vita un’arena cinematografica che ha restaurato: tutti sono innamorati di lei, tranne il figlio Sid, interpretato da Gabriele dell’Aiera, che arriverà ad apprezzare la madre, attraverso i vari ricordi, solo quando sarà troppo tardi. Come afferma la stessa Morante “il rapporto con questo figlio nel film appare abbastanza drammatico, anche se poi c’è di buono nel film e nella sceneggiatura, che c’è sempre una certa levità. C’è dell’umorismo, però si percepisce che il rapporto con il figlio è doloroso, difficile, frustrante.”

l'età d'oroNel cast anche Eugenia Costantini, Stefano Fresi, Giulio Scarpati, Giselda Volodi, Pietro de Silva e Gigio Alberti, che interpretano tutti personaggi che ruotano attorno alla figura della protagonista sottolineando anche come “una volta i valori dell’amicizia erano più forti perché c’era una pratica comunitaria molto maggiore– afferma Alberti- e anche i rapporti si percepivano di conseguenza in maniera più profonda.” E in effetti è vero, se pensiamo poi al clima di quegli anni. Inoltre le atmosfere raccontate ne L’età d’oro ricordano molto gli anni ’70 e ’80 del cinema sperimentale da un lato e dall’altro il cinema francese d’essai, quello che parla del sè più intimo, rendendo il film pittosto complesso e comunque non adatto a tutti i palati. Complice la macchina da presa che, come afferma la regista, “lavora su due registri: quello diegetico che racconta il qui ed ora, utilizzando una camera rigorosamente fissa, inamovibile e quello extradiegetico, sotto forma di filmini super otto di 30 anni fa, si confronta con un linguaggio che all’epoca era stato anticipatore del contemporaneo linguaggio autoriale da Dogma ad arthouse…la mdp qui è mobile, abbraccia i personaggi e danza con loro. Infine un terzo registro è dato dalla scelta del montaggio: frammentario anche se all’interno delle singole sequenze realistico, quasi a voler ricomporre un puzzle”.

Per quanto riguarda la scenografia, belle le scene all’aperto dove domina la luce (la sala cinematografica “L’età d’oro” è all’aperto) che sembrano aprirsi come su una sorta di palcoscenico teatrale; mentre domina il buio nelle scene ambientate all’interno, “il buio del ricordo, della rimozione, della censura”, come lo definisce la Piovano. Proprio questo contrasto tende a trasformarsi in una metafora del cinema, che deve essere “capace di ascoltare gli abissi e restituirci l’orizzonte”.

 

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