Mazzone: il più grande degli allenatori in tuta
Mazzone ha compiuto 79 anni. Carletto, come è chiamato da tutti, ora ha smesso di allenare, lo aveva promesso alla moglie, e si gode la sua vecchiaia ad Ascoli dove ha scelto di vivere. Mazzone lo amiamo perché è un allenatore in tuta. Ci sono allenatori in tuta ed allenatori in giacca. Poi ci sono quelli come Fascetti che sono in maglioncino, ma quella è una categoria a parte. Gli allenatori in giacca, in genere quella ufficiale della società, sono allenatori che si presentano benissimo. Sembrano molto moderni, sembra che siano votati all’attacco, in genere se li prende il Milan e dopo un anno li caccia, ma comunque poi un posto importante lo trovano. Però gli allenatori in giacca sono ben visti dai presidenti i quali, quando decidono di spendere e di allestire una squadra da primato, chiamano uno di loro. Quindi molto spesso poi sono quelli che vincono. I presidenti che chiamano gli allenatori in tuta invece sono diversi. Sono presidenti che sono alla ricerca di un salvatore già a fine novembre. La squadra non va, bisogna fare qualcosa, si cambia l’allenatore. E bisogna pure salvarsi. Quindi serve concretezza, quindi chi se ne frega della giacca e delle interviste post partita. Serve uno di campo. Serve uno in tuta. Uno al quale puoi dire “I giocatori sono questi, fai te”. Non serve uno che sta a braccia conserte ed ogni tanto allunga un braccio ad indicar qualcosa. Serve uno che strilla in piedi davanti la panchina e minaccia di punizioni terribili i propri giocatori. Serve uno che faccia venire il mammadrone al terzino che gli passa davanti la panchina. Serve uno con la tigna. Serve uno come Carlo Mazzone. Il più grande degli allenatori in tuta. Uno che nelle interviste non riesce a pronunciare il nome della squadra avversaria se giochi in coppa, ed allora il Betis Siviglia, che manco è così difficile, eccolo dire “Il Bez, il Besss, il Bet, ma non Betis, uno che chiama il proprio centrocampista olandese Kreek “Skrekka”, ma anche uno che ti prende l’ Ascoli in serie C e lo porta in A, compiendo un miracolo col grande Costantino Rozzi, uno che con l’Ascoli ci arriva pure sesto, uno che poi va due anni a Catanzaro e riesce a salvare pure il Catanzaro per due anni di fila. Uno che una volta ad Avellino mentre rientrava negli spogliatoi uno che stava sulla pista e che non si capì mai chi fosse, gli spense una sigaretta in faccia. Insomma un allenatore che magari ha la bacheca vuota, ma che è stato uno dei più grandi della sua categoria. Detto “er sor Magara”, per la sua parlata romana e perché una volta rispose ad una domanda su una possibile defaillance della squadra prossima avversaria con un “ma magara!” che ha fatto epoca. Mazzone è stato uno dei più grandi allenatori mai avuti in serie A, ma non per scudetti e trofei internazionali, ma per salvezze e qualificazioni in Europa con squadre di classifica medio-bassa. Campionati memorabili, come a Cagliari, salvezze con le unghie e coi denti. Ma anche comportamenti sopra le righe, gesti commoventi e grandissime soddisfazioni. Ne vogliamo raccontare qualcuno, scegliere non è stato facile, visto che parliamo del detentore del record di presenze in panchina della serie A, ma abbiamo scelto queste.
Novembre del 1994. C’è il derby. Un derby che Mazzone sente molto, essendo romano e romanista. E c’è sopratutto un grande problema. La Lazio è più forte. Nettamente più forte, Zeman sta plasmando una squadra che ha in Signori il suo realizzatore implacabile. Un gioco d’attacco, roba mai vista prima. La Roma di Mazzone gioca un calcio garibaldino ma sembra proprio non potrà esserci storia. Nella settimana che precede il derby il Corriere dello sport pubblica un sondaggio. Fa il paragone tra i giocatori della Roma e della Lazio. Uno al giorno. Ruolo per ruolo. Finisce 11-0 a favore dei laziali. Mazzone ritaglia quella pagina e la attacca nello spogliatoio. “Mo toccà a voi fa vede se c’hanno raggione o se se sbajeno”. Dopo una manciata di minuti la Roma è già in vantaggio con Balbo. Dopo un altro quarto d’ora Cappioli finalizza un’azione incredibile di Moriero e la Roma raddoppia. Ad inizio secondo tempo Fonseca chiude i conti. Il derby che doveva sancire definitivamente la salita della Lazio nell’Olimpo delle grandi e certificare l’assoluta inferiorità della Roma si conclude con un trionfo dei giallorossi. Capitan Giannini sottola curva fa il segno 3 con le dita, anche perché i derby capitolini erano lustri che finivano sempre con massimo un goal per parte. Uno a zero, zero a zero o uno a uno. E la Roma del catenacciaro Mazzone ne aveva fatti 3 alla Lazio del moderno ed offensivo Zeman. E quel giorno, per una volta, si è lasciato andare ed è corso sotto la sua curva. Una corsa un po’ caracollante, uno in giacca come Leonardo sarebbe andato ad ampie falcate ed a testa alta, Mazzone era zoppicante, guardava dove metteva i piedi, e stava in tuta (e giaccone). Arrivato sotto la curva, urlando “Dajeeeee!!” lancia un bacio, e per un istante chiude gli occhi. Ed in quell’istante sembra si goda la soddisfazione di essere antico e genuino ma di essere all’altezza di chiunque.
Ma Mazzone ha anche un carattere un po’ fumantino. Poi è un bonaccione ma è un po’ come il nonno che magari non faceva volare una mosca durante il TG ma puoi ti allungava le 5000 Lire e ti faceva leccare via lo zucchero dalle pastiglie Valda. Una volta, per dire, per far capire al giornalista Varriale che era seccante stare sempre a sentire voci su possibili tuoi sostituti, arrivò al collegamento dopo la partita e gli disse direttamente “A Varrià che stai ancora là? ho saputo che domenica prossima nun ce stai, ce sta un altro”. Insomma a Mazzone sovente sale la mosca al naso. Ed essendo spontaneo e genuino magari fa cose che non si dovrebbe. Ma che poi, in definitiva, hanno contribuito a farlo diventare un mito.
Corioni, il presidente, lo ha chiamato al Brescia, un Signor Brescia, che ha tra le sue fila il grande, il divino, Roberto Baggio. Anzi, Baggio ha fatto scrivere sul suo contratto che lui resterà nel Brescia solo se c’è Mazzone, altrimenti si ritiene svincolato. Anche questi sono trofei. Anche qui una giornata indimenticabile coincide con un derby. Quello contro l’Atalanta. La partita inizia bene, Brescia in vantaggio. Ma poi in pochi minuti la situazione si ribalta e l’Atalanta va sul 3 a 1. La curva orobica comincia ad insultare Mazzone. Non sappiamo nello specifico cosa cantassero ma le cronache riportarono (e Mazzone pure) che insultassero lui, la sua famiglia, e Roma. Mazzone si rivolge alla curva atalantina “Se famo er 3 a 3 vengo la sotto”. Baggio suona la carica ed il Brescia segna due goal. Il pareggio. E Mazzone quando promette poi mantiene. Scatta verso la curva come aveva promesso, il suo vice Menichini prova a bloccarlo ma Mazzone, molto più agile di una decina d’anni prima a Roma, si libera di lui e corre, esulta, agita il braccio ma sopratutto urla “Li mortacci vostriiiiiiiii” ed arriva sotto la curva prendendosi la sua rivincita contro chi lo ha insultato fino a quel momento. La fotosequenza dell’accaduto è oramai storia. E quell’uomo in giacca che prova a fermarlo, e che somiglia incredibilmente a Varriale, non potrà mai nulla, contro la rabbia di un allenatore in tuta.
Quando Totti deve ricordare i suoi maestri non dimentica mai di citare Mazzone. Quelli che sono stati allenati da lui lo ricordano sempre con affetto ed ammirazione. Abbiamo già detto di Baggio, e di quanto la loro unione regalò al Brescia delle stagioni da incorniciare. Aveva un rapporto particolare con Cappioli. Ovunque andasse ad allenare se lo portava. In un’intervista gli chiesero “Mazzone, ma lei non riesce a giocare senza Cappioli?” e lui rispose “No casomai è Cappioli che non riesce a giocare senza Mazzone”. Lo abbiamo detto, uno ruspante e genuino, uno in tuta. Uno che poi è rimasto ad Ascoli, a fare il nonno, come aveva promesso alla moglie. Con quasi nessun trofeo in bacheca, almeno non uno di quelli da Special One. Quelli in tuta non sono da finale di Champions League. Però magari in una finale di Champions poi va a finire che c’entrino qualcosa. Quando a Brescia allenava Baggio a centrocampo allenava Guardiola. Erano gli ultimi anni da calciatore per Pep. C’era anche Pirlo in quel Brescia. Mise Baggio al suo posto ed arretrò Pirlo che poi in quel ruolo è diventato il migliore al mondo. Guardiola poi è diventato allenatore, ed uno dei più bravi. Vinse la Champions all’esordio, alla guida del Barcellona. La finale si giocava a Roma contro il Manchester United. Prima della partita Guardiola prende il telefono e chiama Ascoli. Ad un giorno dal giorno più importante della sua carriera ha un pensiero. Invitare il suo vecchio allenatore allo stadio ad assistere alla finale. Mazzone si commuove. Perché non se lo sarebbe aspettato. Come non si sarebbe aspettato le parole di Guardiola a fine partita, dopo aver battuto 2 a 0 il Manchester ed aver vinto la Coppa. Guardiola ha ringraziato lui, Mazzone. Chiamandolo “il mio maestro”.
Ora, siamo d’accordo, sta cosa qua mica la metti in bacheca. Ma siamo sicuri che se a Mazzone da giovane gli avessero detto che succedeva una cosa così, lui avrebbe risposto “ma magara!”.