Da Spotlight a Truth, Hollywood in difesa del giornalismo d’inchiesta
Da Spotlight a Truth, è l’anno d’oro del giornalismo al cinema: dopo il premio Oscar al film di Tom McCarthy sull’inchiesta che portò alla luce lo scandalo dei preti pedofili, arriva nelle sale il prossimo 17 marzo Truth, dell’esordiente James Vanderbilt. Trainato dalla solita, superba Cate Blanchett e da un ingessato ma efficace Robert Redford – che torna nel ruolo del reporter 40 anni dopo Tutti gli uomini del Presidente – il film si propone di raccontare la verità sul cosiddetto Rathergate, lo scandalo che vide coinvolti il network americano CBS e l’allora presidente George W. Bush. Era il 2004, e a pochi mesi dalle elezioni, un reportage a cura della produttrice e giornalista Mary Mapes (già autrice del servizio sugli orrori di Abu Ghraib) e dell’anchorman Dan Rather portava alla luce delle prove secondo cui negli anni ’70 Bush avrebbe usato le sue conoscenze per ottenere un posto molto ambito nella Guardia Nazionale dell’Aeronautica, evitando così di essere spedito in Vietnam. L’inchiesta di Mapes e Rather, trasmessa dalla CBS, evidenziava anche come Bush fosse venuto meno ai suoi doveri durante il servizio militare, riuscendo comunque ad ottenere valutazioni positive grazie a favoritismi e conoscenze: ipotesi sempre negate dall’ex presidente in pubblico.
La prima parte del film si concentra sull’indagine e sulla ricerca dei giornalisti, riversando sullo spettatore una raffica di dettagli, nomi e fatti difficili da assimilare in pochi minuti. La seconda parte racconta invece il massacro mediatico che seguì dal momento in cui si cominciarono a sollevare dubbi sull’autenticità delle prove presentate. Tutto precipita quando le fonti della Mapes ritrattano: i responsabili dell’inchiesta si ritrovarono così a passare da inquisitori a inquisiti. Oltre che dai propri testimoni, la Mapes fu scaricata ben presto anche dalla CBS: a lei e Dan Rather l’inchiesta costerà la carriera. Ma chi fu a sbagliare, se di errore si trattò? Truth si propone di raccontare la verità sulla vicenda, ma in realtà questa e molte altre domande rimangono inevase. Ad ogni modo, il clamore che seguì insabbiò i dubbi sollevati sul Presidente; se Bush effettivamente mentì (peccato imperdonabile per un Presidente, che difatti costò a Nixon la perdita definitiva di ogni credibilità a seguito del famosoWatergate) diventò immediatamente una questione secondaria. Vanderbilt costruisce comunque un thriller giornalistico efficace: non si fa fatica a capire con quale delle parti il regista si schieri; ma se un momento si incensano le doti umane ed etiche i dei suoi protagonisti, quello dopo ci viene mostrato anche il loro carattere di fallibilità, presentando così un quadro che sembra essere il più verosimile possibile.
Essendo il film basato sul libro scritto dalla stessa Mary Mapes, il piatto della bilancia pende comunque, inevitabilmente, a favore di quest’ultima; tuttavia a Vanderbilt preme anche incoraggiare un dibattito su modi e valori del giornalismo moderno. La peculiarità del Rathergate fu che l’attenzione si spostò ben presto dall’oggetto dell’inchiesta ai suoi artefici. Lo scandalo che ne derivò, in sostanza, sancì la fine di ogni ulteriore indagine sul caso, che passò ingiustamente in secondo piano. Truth dimostra come, oggi più che mai, il giornalismo sia uno strumento estremamente vulnerabile, minacciato non soltanto dal potere, ma anche dalla commistione con un inconsistente opinionismo, che sempre più spesso si sostituisce ai fatti. Pur avendo un occhio di riguardo per la coppia Rather-Mapes, Vanderbilt sceglie comunque di raccontare le innumerevoli sfaccettature di una vicenda così controversa, raccogliendo prove e incrociando più di una fonte. Utilizza, in sostanza, il metodo del reporter. E anche in questo sta il suo omaggio non solo a Mary Mapes e Dan Rather, ma anche al mondo del giornalismo d’inchiesta: “Questo film racconta cosa è successo alla libera informazione, come e perché è successo, e perché dovrebbe preoccuparvi”. Parola di James Vanderbilt.
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