Eutanasia, per la prima volta in Parlamento
Era il 1984 e il deputato socialista Loris Fortuna presentava in Parlamento una proposta di Legge sull’ eutanasia, rimasta lettera morta. Da allora le iniziative parlamentari e popolari sono finite, l’una dopo l’altra, su un binario morto. Qualcosa però sembra essere sul punto di cambiare: per la prima volta nella storia della Repubblica Italiana, infatti, una proposta di legge sul fine vita è arrivata in Parlamento.
Ci sono voluti oltre trent’anni ma la Camera ha iniziato a discutere di eutanasia. Una parola che spesso ci imbarazza quasi pronunciare ma che finalmente trova il suo spazio nel processo legislativo. Del resto, nel Paese se ne discute da anni e tutti gli studi sono concordi: la maggioranza degli italiani è favorevole all’eutanasia. Eppure, le proposte di legge di iniziativa popolare sono rimaste per anni a prendere polvere – è il caso di “Rifiuto di trattamenti sanitari e liceità dell’ eutanasia” – e la discussione in materia di fine vita è rimasta confinata fuori dalle mura del Parlamento.
Piergiorgio Welby, la famiglia Englaro, il suicidio di Mario Monicelli, le centinaia di persone che hanno chiesto di potersene andare con dignità sono tutte voci che si sono levate con un’unica richiesta: «Fateci morire come vogliamo. È una nostra scelta».
La politica, però, ha sempre percorso un’altra strada, decidendo di ignorare queste richieste o, peggio, di varare leggi che, come il Ddl Calabrò, avrebbero limitato ulteriormente le possibilità dei cittadini di disporre della propria volontà. Per gli smemorati, il Ddl Calabrò altro non era che la riproposizione parlamentare di un Decreto varato nel 2009 dal Governo Berlusconi nel tentativo di impedire l’interruzione dell’idratazione e dell’alimentazione forzata a Eluana Englaro, una paziente in stato vegetativo da 17 anni. Ancora in vita, Eluana aveva manifestato la volontà di non essere sottoposta a quei trattamenti e la Corte d’Appello, accogliendo la richiesta del padre Beppe al termine di una lunga battaglia legale, aveva disposto che fossero interrotti. Il centrodestra, però, decise di fare delle ultime ore di vita di una ragazza e del dolore della sua famiglia un caso politico e lo stesso Berlusconi, precipitandosi al suo capezzale, sentenziò: ha il ciclo, ergo «può ancora avere figli» e va tenuta in vita. Di fronte al rifiuto di Napolitano di firmare il decreto, il governo lo trasformò in tutta fretta in un Ddl sul Testamento Biologico, che le Camere approvarono in prima lettura. Solo la fine della legislazione, che interruppe la discussione parlamentare, evitò il peggio.
Da allora sono passati altri 7 anni. Anni di silenzi colpevoli da parte del ceto politico, anni di battaglie quotidiane per chi combatte perché tutti possano scegliere come andarsene. Anni di eutanasia clandestina, viaggi al di là del confine per poter morire in pace, a pagamento, anni di sucidi ignorati (quanti? chiedono all’Istat in una lettera aperta i familiari di alcune vittime della mancata legislazione). Anni di raccolte di firme ignorate, di appelli pro eutanasia di personaggi dello spettacolo, della cultura, di scienza e persone comuni caduti nel vuoto.
Ora, qualcosa potrebbe cambiare. All’esame delle commissioni riunite Giustizia e Affari Sociali della Camera sono arrivate, infatti, quattro proposte di legge per regolamentare finalmente la dolce morte. Tra queste, quella di iniziativa popolare promossa dall’associazione Luca Coscioni, e sottoscritta da quasi 105mila firme, presentata il 13 settembre 2013 e fino a oggi ignorata. Quattro articoli per stabilire che i cittadini hanno il diritto di «rifiutare l’inizio o la prosecuzione di trattamenti sanitari, nonché ogni tipo di trattamento di sostegno vitale o di terapia nutrizionale» e che i medici dovranno eseguire le ultime volontà del paziente, manifestate direttamente da lui o da una persona da lui nominata.
Tra gli altri testi, quelli di Marisa Nicchi (Si) e Titti Di Salvo (Pd) sono sostanzialmente analoghi nel contenuto e prevedono la non punibilità del medico che pratichi l’eutanasia nel rispetto delle condizioni dettate dalla legge, mentre la proposta a firma di Eleonora Bechis – ex 5 Stelle e ora membro di Alternativa Libera-Possibile – molto più semplicemente stabilisce che il paziente ha il diritto di rifiutare «l’inizio o la prosecuzione di trattamenti sanitari, nonché ogni tipo di trattamento di sostegno vitale o di terapia nutrizionale. Il personale medico e sanitario è tenuto a rispettare la volontà del paziente e non può dichiarare obiezione di coscienza».
Il percorso sarà certamente lungo e difficile ed è appena agli inizi, ma per la prima volta qualcosa si è mosso. Vedremo se finalmente l’Italia sarà in grado di dotarsi una legge sull’eutanasia che renda più liberi tutti i cittadini fino all’ultimo o se, ancora, vinceranno le frange clericali e minoritarie che ancora tengono in ostaggio il Paese, come la débâcle delle unioni civili ci ha ricordato fin troppo bene. Speriamo solo che, chiamati a decidere, i nostri parlamentari pensino a quelle voci finora inascoltate e, soprattutto, pensino a quelle 20mila persone ogni anno che, secondo diversi studi di ricerca, cercano clandestinamente una via per lasciare questo mondo grazie all’aiuto di medici coraggiosi che rischiano tutto per farli essere liberi, fino alla fine.
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