Brasile, il Rio Doce a quattro mesi dalla catastrofe [VIDEO]
60 milioni di metri cubi di fluidi sono l’equivalente di 25000 piscine olimpioniche, o il carico di 187 petroliere. E’ questa la quantità spropositata di rifiuti tossici che lo scorso 5 novembre ha cominciato a fuoriuscire da due dighe crollate nello stato di Minas Gerais, contaminando il Rio Doce, un fiume che scorre dall’entroterra Brasiliano fino all’oceano Atlantico.
I due impianti erano progettati per contenere gli scarti da lavorazione del ferro della Samarco Mineracao Sa, ditta Brasiliana impegnata in attività minerarie sul territorio tramite una joint venture che vede protagonisti due colossi del settore: l’anglo-australiana Bhp Billiton e la brasiliana Vale. La Samarco, come la maggiorparte delle imprese che si occupano dell’estrazione del ferro, faceva uso di sostanze chimiche altamente tossiche (anche se ora le società coinvolte provano a smentire questo punto) utili per eliminare le impurità dai minerali estratti. Stando a quanto riportato dalle autorità questi composti, detti Either amines, avrebbero causato la contaminazione delle acque del Rio Doce con fanghi contenenti Mercurio, Arsenico, Cromo e Manganese, oltre il massimo livello accettabile per la sopravvivenza delle specie acquatiche.
Nei giorni successivi all’incidente l’ondata di fanghi tossici ha portato via con sé la flora e la fauna che popolavano il corso d’acqua sudamericano e i suoi argini: nel giro di due settimane, i fluidi contaminati hanno percorso i 500 km che dividono il luogo dell’incidente dall’Atlantico, andandosi così a disperdersi in mare sotto forma di un’enorme macchia arancione.
La situazione è quella di un enorme catastrofe ambientale causata dalle attività estrattive dell’uomo. Le opinioni divergenti riguardano, però, due tematiche: i costi, in termini temporali e finanziari, per il ripristino allo stato precedente dei luoghi danneggiati e la causa dell’incidente. Le parti di questo “gioco” (l’entità della vicenda meriterebbe un termine più rispettoso) sono invece essenzialmente tre: le società accusate di disastro ambientale, il governo e la società civile.
La Samarco è ovviamente accusata dai tribunali Brasiliani, insieme alle due controllanti sopra citate, di essere responsabile dell’evento. Le attività di estrazione della ditta sono state immediatamente bloccate dal governo, facendo registrare alla stessa BHP un calo del 4 % sulle sua produzione complessiva di ferro. La causa che avrebbe dato avvio alla catastrofe è ancora sconosciuta, ma alcune fonti dichiarano che verrà alla luce nei prossimi mesi. Le tre compagnie accusate hanno inoltre fatto sapere di aver avviato un percorso di studi ambientali autonomi, i risultati dei quali verranno resi pubblici una volta concluso.
Gli sviluppi delle ultime ore, a distanza di 100 giorni dall’accaduto, vedrebbero vicino un accordo tra il governo e le multinazionali coinvolte per un risarcimento danni che ammonta a circa cinque miliardi di dollari, teso a ripristinare lo stato dei luoghi antecedente al disastro. Tuttavia dalla stessa multinazionale Australiana tengono a precisare che è al momento impossibile stimare la cifra precisa che andrà versata nelle casse del governo Brasiliano.
Rimarranno in essere in ogni caso i procedimenti penali aperti dai tribunali brasiliani contro i presunti responsabili: tra questi una decina di dirigenti accusati di disastro ambientali e secondo le ultime notizie anche dalla pesante accusa di omicidio, dato che 17 persone nella circostanza hanno perso la vita.
Lungo le sponde del Rio Doce vivono intere comunità indigene che un fino a pochi mesi fa basavano la propria sussistenza intorno ad attività agricole ed ittiche. Uno dei villaggi che sorgono lungo il corso del fiume, Bento Rodrigues, è stato totalmente distrutto dalla marea arancione, ma è l’ecosistema nel suo insieme ad aver subito stravolgimenti incredibili a causa delle sostanze tossiche. Il governo ha pensato innanzitutto alla messa in sicurezza dell’area ed è degli ultimi giorni la notizia di un’ingiunzione del tribunale federale per disporre lo stop alla pesca lungo tutto il corso del fi ume. Questo permetterà non solo la salvaguardia della salute di chi vive lungo le sponde del Rio Doce, ma anche un’agevolazione alla raccolta di campioni faunistici per le analisi in laboratorio, tese a precisazioni circa l’entità del danno ambientale.
Tra le righe del portale Greenme.it si legge che Sos Mata Atlantica ha raccolto 28 campioni d’acqua dal Rio Doce e analizzando le sostanze in essi presenti, ha rilevato parametri biologici notevolmente fuori dai livelli standard: durezza dell’acqua, presenza di molecole pesanti e altre forme d’inquinamento superano spesso il rapporto di 1 a 100 con condizioni ambientali accettabili.
Stando a quanto riporta l’ufficio stampa del Procuratore Generale, qualora venisse raggiunto un accordo in settimana circa la cifra del risarcimento, questo potrebbe essere già firmato dalla presidente Roussef e dai governatori entro la fine del mese.Lo stesso procuratore generale dello stato Brasiliano, Luìs Inàcio Adams ha comunicato che se l’accordo verrà raggiunto, entro la fine dell’anno la Samarco potrà riprendere le proprie attività estrattive sul territorio. Nel frattempo un altro spicchio del nostro pianeta è stato fatto marcire e il denaro, come sempre in questi casi, non potrà mai restituire all’ecosistema ciò che in precedenza ha sottratto.