Clan Laudani, 106 arresti nell’operazione “i Vicerè”

Laudani
Alcuni degli arrestati

Il Clan Laudani che opera nel territorio etneo è stato ieri decimato da una massiccia operazione di polizia. Centosei ordinanze di custodia cautelare, tre agli arresti domiciliari, hanno permesso di scardinare i tredici clan criminali, tutti facenti riferimento alla famiglia Laudani, una delle più attive e sanguinarie, ad operare nel catanese. L’operazione, denominata “i vicerè” è stata coordinata dalla Procura di Catania. Quattro anni di indagini che ancora non sono giunte al termine e che ha avuto la sua svolta grazie al pentimento del primo ed unico membro della famiglia, Giuseppe Laudani, nipote del patriarca della famiglia Sebastiano, classe 1929, che nonostante l’età e la reclusione continuava dal carcere a dirigere i traffici del suo clan criminale. Proprio durante un’intercettazione ambientale effettuata in carcere si è potuta ascoltare la rabbia del vecchio boss nei confronti dell’ex nipote prediletto, definito uno che “macchiau ‘u nomu” (ha sporcato il nome, ovviamente della famiglia). Indagati per favoreggiamento anche imprenditori che non hanno denunciato il pizzo, due avvocati per concorso esterno, ed un membro delle forze dell’ordine per rivelazione d’atti d’ufficio.

Ad organizzare all’esterno del carcere le attività della cosca sarebbero state tre donne, Concetta Scalisi, Maria Scuderi e Paola Torrisi. “Le tre avevano ruoli manageriali e di promozione della cosca” ha spiegato la magistrata Giovannella Scaminaci che insieme ai colleghi Pasquale Pacifico, Antonella Barrera e Lina Trovato, ed al Procuratore aggiunto Amedeo Bertone, sono stato i titolari dell’indagine.

La fonte principali degli affari del clan era la raccolta del pizzo, un giro valutato 500.000 euro al mese nelle zone di San Giovanni La Punta, Acireale, Giarre, Zafferana, Piedimonte, Caltagirone, Randazzo, Paternò, San Gregorio, Aci Catena, Mascali e Viagrande. Molti imprenditori non hanno denunciato o hanno denunciato, solo per non essere indagati per favoreggiamento, il solo pentito Giuseppe Laudani. Era per loro l’unico modo per collaborare con i magistrati senza incorrere nella vendetta dei Laudani.