Cenerentola al Teatro Vascello, quando il teatro cede il passo alla tv
Cenerentola è una fiaba tradizionale conosciuta in tutto il mondo, rappresentata in questi giorni al Teatro Vascello di Roma, fino al prossimo 6 marzo 2016. Nell’epoca contemporanea il genere della favola sembra essere decaduto, come se fosse stato riposto in un cassetto impolverato, forse perché inadatto a descrivere la società o magari perché oggi tutto si muove troppo velocemente e non c’è tempo per pensare alle favole. Cenerentola è una proposta interessante, prodotta dalla Fabbrica dell’Attore, che cerca di ottenere il plauso di adulti e bambini (ma finisce per coinvolgere maggiormente gli adulti) e lo fa tentando di costruire un ponte ideale tra la fiaba intesa in senso classico, e i frequenti rimandi (non sempre necessari) al linguaggio televisivo e cinematografico contemporaneo.
Nell’incipit si viene letteralmente catapultati in un’altra dimensione, quella del sogno, grazie al monologo visionario del Tempo, che ricorda un po’ il Bianconiglio di Alice nel Paese delle Meraviglie, seguito da danze coreografiche e canzoni dei topolini, amici di Cenerentola, che la aiutano a districarsi tra i pesanti lavori domestici e le insopportabili grida delle sorellastre e della matrigna. Gli attori sono davvero bravi, nonostante la giovane età: si tratta di Valentina Bonci, Isabella Carle, Matteo Di Girolamo, Marco Ferrari, Chiara Mancuso, Valerio Russo, Pierfrancesco Scannavino e Maya Vassallo. Gli originali costumi di Clelia Catalano contribuiscono a rendere frizzante l’atmosfera, prendendo spunto dallo stile dark-gothic. Le sorellastre diventano così spaventose bambole horror, avvolte in tulle nero e armate di terribili coltellacci. Cenerentola è credibile, ammantata nel suo atteggiamento dimesso e generoso. Il Principe è perso nel suo sguardo sognante, assolutamente degno della più pura tradizione nobiliare. Un commento a parte lo merita la matrigna, regina ambigua (dalla presenza scenica e dalle doti interpretative davvero notevoli), che sembra essere uscita per metà dal Diavolo veste Prada, e per metà dal Rocky Horror Picture Show, con zeppe, lustrini, piume, portavoce della più squisita tradizione glam-rock.
Persino Freud non era rimasto indifferente alla favola di Cenerentola e, nei suoi Saggi sull’Arte, la Letteratura e il Linguaggio, aveva indagato il problema della scelta degli Scrigni (il Mercante di Venezia), che poi si traduceva, in Cenerentola, nella scelta che il Principe avrebbe dovuto compiere tra le tre sorelle, scegliendo infine la terza, Cenerentola: la più bella, la più giovane, la più brava. La rotazione dei ruoli (probabilmente dovuta ad una contrazione del budget di produzione) a volte è riuscita bene, altre volte invece è risultata disorientante, creando un po’ di confusione tra i personaggi. Il ricorso radicale ed esplicito a modelli televisivi nostrani (la scena del ballo si trasforma in uno dei salotti più famosi d’Italia, con tanto di presentatrice!), ci porta ad una doverosa riflessione: il teatro ha ormai davvero bisogno di rincorrere in modo così massiccio il medium televisivo, oppure potrebbe continuare a farne a meno, essendo una realtà artistica significante già di per sé? La televisione impone un cambiamento radicale al teatro? Se così fosse, non si correrebbe il rischio che il teatro possa diventare un surrogato della televisione? Riflessioni a parte, lo spettacolo può dirsi comunque riuscito, soprattutto grazie all’eccellente cast di attori assolutamente capaci di ottimizzare al massimo le risorse che, talvolta, davano l’impressione di essere relegate ai limiti dell’amatoriale.
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