L’Orestea di De Fusco, una sfida tra epoche
Dopo il debutto al Teatro Mercadante di Napoli, Orestea è in scena in questi giorni a Roma. La grande trilogia di Eschilo rivive sul palco del Teatro Argentina con la regia di Luca De Fusco, che ama confrontarsi ancora una volta con un classico fondante della letteratura e del teatro occidentale, un’opera poderosa e al tempo stesso impegnativa sotto molti aspetti.
Prima di tutto la durata. Orestea si compone di tre tragedie distinte, riunite qui in due partiture della stessa durata: Agamennone (1 ora e 50 minuti) e Coefore/Eumenidi (1 ore e 50 minuti), tre episodi che ripercorrono le vicende della stirpe di Agamennone dal suo ritorno dopo la guerra di Troia fino alla riabilitazione del figlio Oreste davanti alla cittadinanza di Atene. Un’opera totale, che tocca molti temi cari alla cultura classica ma ancora oggi estremamente impellenti, come il legame tra giustizia privata e giustizia pubblica, il ruolo della donna all’interno del sistema famiglia, il rapporto complicato tra padri e figli.
Nell’Orestea il senso del tragico rivive nella sua forma più antica quando rappresenta il ricadere della colpa e delle sofferenze di generazione in generazione, svelando come il dolore sia spesso il frutto di una condizione di totale impossibilità. Della gravitas dell’opera, De Fusco coglie tutti i tratti e tutte le sfumature, portando in scena un’opera convincente e, senza esagerare, appassionante che riesce a costruire un equilibrio quasi impeccabile e credibile tra le epoche in gioco, l’oggi come ieri.
Importanti il supporto della scenografia di Maurizio Balò, con il piano rialzato davanti alla porta della casa regale e il suolo nero di polvere da cui emergono i personaggi e sgorgano fiotti di sangue, quasi a voler dimostrare che la terra è intrisa dei delitti della famiglia degli Atridi e pregna dei loro omicidi. Accanto alle scena, un valido contributo è rappresentato anche dalle musiche di Ran Bagno e dalle coreografie di Noa Werthein. Con quest’ultimo elemento e la presenza costante del coro, nell’Orestea di De Fusco trovano finalmente spazio in modo esemplare gli elementi meno rappresentabili del teatro antico: danza e coro appunto.
Infine un cast numeroso, che si cala in più panni, tra cui: Mariano Rigillo, Elisabetta Pozzi, Angela Pagano, Gaia Aprea, Claudio di Palma, Giacinto Palmarini , Anna Teresa Rossini e Paolo Serra, molti nomi, insieme a quelli del cast tecnico, che presenziano con costanza tra le produzioni di De Fusco. Tutta la compagine regge sapientemente e con un ritmo che discende solo verso il finale, lì dove anche il testo è più debole, circa quattro ore di rappresentazione, facendo dell’Orestea un dramma in cui l’antico riesce a dialogare naturalmente con il moderno.