Attentato in Turchia: a tweet come siamo messi?
Come già riportato da lineadiretta24.it, nella mattinata di martedì Istanbul è stata colpita da un attentato terroristico. Una bomba ha causato un’esplosione nella zona di Sultanahmet, quella che per intenderci si affaccia su alcune delle attrazioni turistiche più importanti della città. L’ordigno, (secondo gli inquirenti innescato da un kamikaze siriano nato nel 1988) avrebbe ucciso dieci persone oltre ad averne ferite 15. Stando alle dichiarazioni in conferenza stampa del viceministro Numan Kurtumlus, le vittime sono tutte straniere e otto di queste, come riportato dal ministro degli esteri della Germania, sono di nazionalità tedesca. Tutta l’area situata nei pressi della Moschea Blu e della basilica di Santa Sofia è stata immediatamente chiusa al pubblico, con annesso divieto di scattare foto o di registrare file video. Alcuni testimoni avrebbero descritto la presenza in loco di arti e resti delle vittime, tanto che l’identità stessa dell’attentatore sembrerebbe essere stata ricostruita proprio grazie a questi.
L’agenzia turca Dogan ha successivamente smentito le prime ricostruzioni, riportando le parole del premier Turco, secondo le quali l’attentatore, identificato nella persona di Nabil Fadli, non sarebbe di origini siriane bensì saudite. Secondo lo stesso primo ministro l’attentatore potrebbe essere un militante dello Stato islamico, mentre Erdogan sottolinea un’ipotetica connessione tra l’attacco e la questione Siriana in corso. Viene da chiedersi se la doppia nazionalità con cui l’attentatore è stato etichettato nel corso della giornata sia dovuta a banale errore mediatico o eventualmente ad altro. Per ora occorre rimanere in attesa di perizie e indagini più accurate, ma il dato di fatto è che ad ora il site (sito internet gestito dall’ex agente del Mossad Rita Katz, dal quale provengono tutte le notizie e le agenzie riguardanti l’ISIS) tace a proposito di eventuali rivendicazioni dello Stato islamico. Nonostante questo è incredibile come la gran parte dei mezzi d’informazione si sia accanita in una fantasiosa riconducibilità dei fatti all’ISIS, nonostante non vi sia traccia di fonti attendibili al momento.
Il presidente Erdogan ha condannato i fatti della mattinata e fermamente affermato la necessità di unità contro il terrore, ferme restando le posizioni determinanti ed etiche della Turchia. Posizioni che hanno vacillato (e non poco) dopo la pubblicazione nel dicembre scorso di queste foto satellitari da parte del governo Russo.
Conseguentemente all’abbattimento di un Su-24M in territorio siriano, infatti, il presidente Putin aveva deciso di pubblicare prove schiaccianti per la Turchia, riguardo il loro coinvolgimento diretto nell’opera di finanziamento allo Stato islamico. Le foto mostrerebbero i traffici di petrolio che, grazie a centinaia di autocisterne, portano la materia prima verso le raffinerie Turche sul Mediterraneo passando attraverso il confine Siriano. In particolare lo scatto qui presente evidenzia 46 autocisterne (nel riquadro più in basso) che attendono di varcare il confine nei pressi del villaggio siriano di Azaz.
Non è certo questa un’argomentazione sufficiente a giustificare l’ennesimo sconcertante atto di violenza, ma quantomeno le parole di Erdogan risultano ridicole. Non è infatti chiaro il ruolo della Turchia nello scacchiere strategico internazionale: impegnata nell’appoggio ai cosiddetti “ribelli” antigovernativi siriani (leggasi terroristi, nonostante l’ostinato negazionismo in materia da parte dei media occidentali) per rovesciare Assad e potenzialmente in corsa per due grandi progetti commerciali con Azerbaijan e Russia (rispettivamente il Tanap e il Turkish stream, entrambi gasdotti dal grande valore economico), la Turchia sembra fare il doppio gioco schierandosi laddove più le conviene. Ma i nodi sembra stiano per arrivare al pettine dato che Ankara dal dicembre scorso è divisa da Mosca a causa di pesanti sanzioni economiche imposte da quest’ultima. E il momento in cui la Turchia dovrà deliberatamente prendere una posizione ben precisa si sta sempre più avvicinando.
Si assisterà, come sempre succede da quindici anni a questa parte in ambito di terrorismo internazionale, ad una passerella di cordoglio ostentato dai più alti vertici mondiali, ma la dura realtà dei fatti è che i conflitti proseguono incessanti mentre a pagare sono sempre gli innocenti. Primo tra tutti nel pomeriggio è stato il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, che attraverso il suo profilo twitter ha condannato l’attacco terroristico ribadendo l’unità dell’organismo internazionale nella lotta contro il terrore. Poi è stato il turno del ministro degli esteri britannico Philip Hammond, il quale afferma di sentirsi vicino alle famiglie. Forti e decise invece le parole utilizzate dal primo ministro francese Manuel Valls, secondo il quale (ricalcando le orme di Hollande risalenti ormai a un paio di mesi fa) c’è una guerra in corso. L’esponente politico d’oltralpe ha ragione, il conflitto c’è ma è una guerra mediatica a colpi di tweet e di finte commiserazioni, formata da dichiarazioni di facciata e da cinico cordoglio. Un Apparato para-statale quale l’Isil non è nato dal nulla, non è il frutto della libera autodeterminazione dei popoli ed il fatto che sia andato sviluppandosi in regioni dove la comunità internazionale da anni va alla ricerca di forme d’instabilità (vedi i reiterati interventi USA in Siria o le accuse riguardanti l’uso di armi chimiche risalenti al 2013) non è affatto un caso fortuito. Gli interessi economici che intendono spremere come un agrume il medio-oriente sono molteplici e tutti molto invitanti per le potenze mondiali, tanto che basterebbe conferire un piccolo quantum di sensibilità ulteriore ai cittadini occidentali in materia per mostrare questa serie disdicevole di eventi sotto un’altra lente: una lente che non tenga conto meramente dell’aspetto religioso e fanatico della vicenda. Non sono loro i protagonisti.
Per il momento non vi sono notizie ufficiali ed attendibili circa l’identità dell’attentatore e si attendono sviluppi. Nel frattempo il governo Turco ha vietato qualsiasi forma di diffusione riguardante indagini e ricerche in merito.