Hunger Games: il capitolo finale da oggi al cinema
Ammettiamo che non stessimo vivendo in un surrogato di democrazia pilotata, e che negli ultimi anni la libertà non sia stata percepita come virtù relativa. Trascuriamo ogni facile relazione tra questa pulsione interiore e le più svariate forme artistiche, cinema e teatro in primis. Fingiamo che non ci sia stato nessun boom del filone distopico post-apocalittico, tanto in libreria quanto nelle trasposizioni su grande schermo.
Hunger games, la cui ultima parte è in uscita oggi, apparirebbe dunque come un prodotto cinematografico nudo e crudo, preso e analizzato nei suoi 4 lungometraggi e circa 9 ore di durata complessiva: una buona idea evoluta in qualcosa di molto più grande e difficile da gestire (sebbene la conclusione sia stata suddivisa in due parti, trasmesse a distanza di un anno tra loro), con una venerata protagonista che cresce e si evolve a paladina universale del giustizialismo.
Ma, ahimé, Hunger Games ha voluto marchiare a fuoco non solo lo stemma della Ghiandaia Imitatrice (simbolo della rivolta), ma anche il pionierismo videoludico, apponendo un marchio distintivo che strabordasse nella denuncia sociale. Chi andrà a vedere Hunger Games – Il canto della Rivolta parte II non sarà soltanto uno spettatore alle prese con la sua dose settimanale di 3d e pop corn, ma sarà un utente a digiuno di equità e rettitudine, avvezzo alle vicende narrate nei libri di Suzanne Collins e disperatamente alla ricerca di qualcosa che stimoli la sua silenziosa rivolta quotidiana. Qui si consuma il cortocircuito di aspettative: tra una saga che tende a coinvolgere verso una gloriosa conclusione e un capitolo finale che, complice forse le aspettative nutrite nei 12 mesi di attesa dalla prima parte e i due anni dal capitolo precedente, rimane troppo sottotono nonostante la tavola registica si presenti riccamente addobbata. Il ritmo risente dei forti vincoli con le vicende narrate nel romanzo, e non esplode (quando potrebbe) in momenti di pura e continuativa azione, prediligendo un’alternanza di brevi sequenze adrenaliniche e lente digressioni introspettiche della protagonista e del nostro ruolo nel mondo. Ci sta, se non fosse che teoricamente sarebbe in atto una rivoluzione…che sia un segnale del nostro tempo? D’altronde lo sdegno e la violenza oggi si combattono a colpi di status e bandierine su facebook, mica si scende in strada a lottare.