Stavolta hanno tirato il colpo dritto al cuore. Venerdì scorso tutto il mondo si è sentito violato nel profondo, senza giri di parole. Hanno profanato ciò che fa parte di tutti noi, il nostro vivere quotidiano, all’occidentale. Una piccola parte in ciascuno di noi si è spezzata. Questa volta. Aspetto questo, che va ben sottolineato, nel tentativo di esporre un’analisi lucida a distanza di tre giorni dai fatti. Le 40 morti di Beirut, verificatisi alle 22.30 di giovedì scorso, non avevano riscosso la stessa attenzione mediatica, innalzando così una rete invisibile rea di una scissione tra la drammaticità dei fatti libanesi e il senso di compassione della nostra parte di emisfero. Drammaticità che è però la medesima in entrambi gli eventi. Senza se e senza ma. Ma non c’è spazio per la polemica. Non stavolta.
Il cittadino francese, così come tutti i cittadini europei, da domenica 14 novembre 2015 cova un nuovo irrefrenabile bisogno. Sostituire il senso di smarrimento con qualcos’altro che infonda uno stato interiore di maggior sicurezza. Ma a che cosa alludiamo di preciso quando ci riferiamo a questo qualcos’altro?

Parigi

Dopo l’11 settembre, una nazione come gli Stati Uniti d’America – conosciuta ai più come la patria delle libertà e delle opportunità – rinunciò, in un processo legislativo tanto repentino quanto efficace, a quello che era stato fino ad allora il suo caposaldo costituzionale: la garanzia del ventaglio di libertà individuali del cittadino americano contenuta nei vari emendamenti del Bill of Rights. Ma andiamo con ordine. Già dal 1978, attraverso il Foreign Intelligence Surveillance Act si erano consentite intercettazioni informatiche e telefoniche da parte dei servizi di intelligence USA nei confronti di governi e organizzazioni terroristiche straniere. Ovviamente il tutto corredato da previa autorizzazione di una corte speciale, oltre all’onere delle agenzie di dimostrare l’impossibilità di un modus operandi alternativo. Condizione suprema risiedeva però nel fine con cui giustificare il mezzo: l’acquisizione di informazioni di intelligence straniere come unico scopo delle intercettazioni. Non vi è quindi dubbio che fossero altamente sconsigliati atti di spionaggio o monitoraggio su tutto ciò che riguardasse cittadini americani (o almeno così mi piacerebbe credere). Bene, dal 26 ottobre del 2001 il gioco cambiò. Sostituendo infatti il magico binomio “unico scopo” con “significativo scopo” il Patriot Act di bushiana memoria rivoluzionò il mondo del monitoraggio anti-terrorismo, estendendolo anche al cittadino americano, che fino al giorno prima si era sentito al sicuro sotto l’ala protettrice degli emendamenti al Bill of Rights. Le novità? Semplici quanto spietate. Nessun limite ad intercettazioni telefoniche e informatiche; perquisizioni senza preavviso di mandato in abitazioni private e uffici; detenzione senza limiti temporali di stranieri che abbiano violato leggi sull’immigrazione o che siano meramente considerati “soggetti pericolosi”. Ma l’aspetto più interessante della vicenda è la nuova definizione di soggetto sospettabile di terrorismo data da questa legge, secondo la quale sarebbe sufficiente non solo “minacciare, cospirare o tentare di dirottare un aereo […], ma anche rappresentare o fornire sostegno a un gruppo terroristico o essere un familiare – a meno che non si sia ufficialmente rinunciato al terrorismo”. Definizione piuttosto ampia e potenzialmente oggetto di atti discrezionali. Quest’aurea di spionaggio e totale debellamento delle garanzie di libertà individuali, promossa da una legge emanata con procedure incostituzionali, (ma attenzione, lo richiedeva l’emergenza) ha permeato gli USA per ben 14 anni. Notizia del 2015 è stata infatti la sostituzione (dovuta causa scadenze) della norma con il nuovo Freedom Act, che lascia però alla vecchia normativa la disciplina dei casi pendenti in virtù della cosiddetta “clausola del nonno”. Si riscontra perciò un superamento arbitrario delle garanzie di libertà dell’individuo, dovuto a una situazione emergenziale da affrontare. Un’emergenza lunga 15 anni a quanto pare.

 

Ma a noi in fondo cosa importa? Non poco considerando che dopo l’attentato del gennaio scorso alla redazione di Charlie Hebdo la Francia ha adottato misure fotocopia rispetto a quelle appena esposte. Per l’intelligence d’oltralpe fu previsto l’accesso a comunicazioni telefoniche e online senza dover prima passare attraverso la magistratura. A compagnie e internet service provider (coloro che fanno circolare i nostri dati nella rete) secondo le normative in questione non è consentito opporsi in nessuna sede. Senza dimenticare la facoltà per i servizi segreti di sistemare registratori e cam in ogni luogo (sì, anche privato) e scatole nere negli stessi ISP (per la raccolta di dati di navigazione web). Il tutto supervisionato da un’apposita commissione, ma con sole funzioni consultive. Ergo, il potere in questione è nelle mani dell’esecutivo.

 

Tornando all’attualità della cronaca, venerdì scorso circa otto terroristi hanno fatto irruzione nel cuore di Parigi, dando luogo al dramma che tutti conosciamo. Grazie alle loro abilità para-militari, sono riusciti a fare breccia nel centro di una delle città più importanti del mondo. Armati di tutto punto. Le autorità in queste prime ore molto calde hanno riferito che monitorarli non sarebbe stato possibile. Le loro comunicazioni sono difficilmente rintracciabili (si parla dell’uso di device come la playstation per lo scambio di informazioni), salvo poi confermare che almeno uno tra gli attentatori era ben noto già da tempo all’intelligence francese. Palese quindi che le agenzie di sicurezza non abbiano funzionato a dovere, nonostante le leggi, sopra esaminate, operanti nel territorio. Lecito aspettarsi un rinnovato irrigidimento delle normative, in parte già annunciato tramite la dichiarazione dello stato di emergenza del premier Hollande. Livello di allerta e sicurezza che precede immediatamente la dichiarazione di guerra, nella scala di valori della difesa nazionale. Già la guerra.

Caccia bombardano raqqa
I caccia francesi si preparano a decollare verso la Siria dalla vicina Giordania

Notizia di queste ultime ore è l’attacco recapitato da dieci cacciabombardieri francesi, in collaborazione con le forze statunitensi, a centri di addestramento ISIS situati a Raqqa, presunta capitale dello stesso Stato Islamico. Secondo quanto riporta una comunicazione del ministero della difesa francese, sarebbero state liberate trenta bombe, centrando gli obiettivi fissati nell’ambito dell’operazione Chammal (che i nostri mezzi d’informazione identificano come i centri d’addestramento dove gli stessi attentatori di Parigi avrebbero appreso le tecniche e strategie para-militari). Imminente è anche l’arrivo sulle coste siriane della portaerei a propulsori nucleari Charles de Gaulle, la cui partenza dal porto di Tolone è annunciata per il 18 novembre. L’eliseo aveva già annunciato quest’azione militare nei primi giorni di novembre, tesa a rinforzare la coalizione anti-isis.

 

Si configura quindi uno scenario di grande irrigidimento legislativo all’interno dell’UE, teso a controlli più ferrei e adottato ad hoc per lo stato di emergenza. Magari diluito anche un pò più in là nel tempo, vista la precedente esperienza statunitense. Ma soprattutto si delineano i contorni di un rafforzamento del contingente militare occidentale sul fronte siriano, con la rediviva possibilità di confronto su un’eventuale offensiva dei Paesi Nato (vedi art. 4 del patto transatlantico). Considerando il dato che nel solo esercito dei ribelli anti-Assad (appoggiata internazionalmente da USA, Turchia, Arabia Saudita e Qatar) sono presenti più di novanta differenti gruppi e appartenenze, è facile immaginare come l’assetto geopolitico siriano rischi di sfociare in una nuova Libia. Debellare l’Isis sarebbe uno sforzo minimo, (e per niente scontato, dato che la storia ci insegna che le guerre sono il miglior modo per far germogliare il seme del fondamentalismo) paragonato al compito che verrebbe dopo, teso alla stabilizzazione politica della regione.

Siria
Questa cartina del Washington post riporta l’attuale situazione siriana.

È dunque questa la sicurezza che i cittadini europei pretendono e cercano dalle istituzioni? Ad ognuno la sua risposta. Ma soprattutto, in che modo dobbiamo guardare alla rapidità e istintività d’azione che la Francia sta adottando in queste ore? Lecita un’altra domanda. Paris: cui bono?