Masterclass al RFF: quando il romanzo si fa serie
Da sempre i romanzi sono fonte d’ispirazione per film e serie tv, spesso i personaggi che la nostra mente aveva immaginato leggendo le pagine di un libro prendono forma sul piccolo schermo, raggiungendo una fetta di pubblico molto ampia grazie alla fruizione comune della televisione. Forse è proprio in questo mezzo che si nasconde il futuro dei libri, in un’epoca in cui le pagine lottano faticosamente contro gli schermi e la potenza delle immagini cattura l’attenzione del pubblico meglio di qualsiasi altra cosa. Al RomaFictionFest si è toccato anche questo tema nella masterclass “Quando il romanzo si fa serie” i cui protagonisti sono stati tre illustri professionisti: Giancarlo De Cataldo, giudice, sceneggiatore e autore del libro Romanzo Criminale, lo scrittore, regista e sceneggiatore Andrea Porporati e Frank Spotnitz sceneggiatore della nota serie X-Files. A fare gli onori di casa il critico cinematografico Marco Spagnoli.
Con tali ospiti, il dibattito non poteva che essere interessante e merita di essere qui ricordato. La storia delle serie ispirate ai romanzi è relativamente recente e affonda le sue radici negli anni ’60 quando le famiglie si riunivano davanti al piccolo schermo per guardare I Promessi Sposi, Lungo il Fiume sull’Acqua, Dov’è Anna? e altri prodotti televisivi ispirati ai grandi maestri. Le serie erano un mezzo per diffondere cultura e facevano arrivare i contenuti dei classici anche a chi, per limiti culturali, non poteva godere delle opere letterarie. Oggi le cose sono cambiate, le serie si fanno portatrici di messaggi ben diversi, diventano “la voce” delle storie d’amore sognate dagli adolescenti, il grido di chi non è d’accordo con la politica attuale e la denuncia di chi lotta contro la malvagità. Le modalità e i tempi di fruizione delle serie sono altri rispetto al passato, le piattaforme dove si può vedere una puntata sono svariate e vanno dallo smartphone al tablet; attraverso i social si può inneggiare al successo di una fiction o esprimere aspre critiche, i filtri con il pubblico vengono assottigliati, registi e sceneggiatori devono adeguarsi ai cambiamenti che le nuove tecnologie hanno innestato nella società moderna. Viene dato libero spazio alla creatività che trova nuove forme d’espressione nel web, ed ecco che la tv diventa social tv e le serie web series. Durante la masterclass, De Cataldo ha giustamente puntualizzato che le nuove piattaforme, come Netflix, sono un’occasione da cogliere, una scommessa da vincere, ma che il processo di liberazione creativa in atto non vuol dire che il corpus di regole a cui scrittori, sceneggiatori e registi devono attenersi va messo del tutto da parte; insomma libertà creativa sì, ma con metodo e studio dietro ogni azione.
Marco Spagnoli dalla sua posizione di mediatore e critico cinematografico ha invece lanciato una provocazione non da poco prendendo in esame un tema trattato nel libro Televisione di Carlo Freccero dove si teorizza il cambiamento mediatico della televisione e si paragona la funzione che hanno avuto i romanzi storici dell’Ottocento a quella della televisione oggi: “Le serie sono diventate la letteratura di quegli anni, una volta Dickens per comunicarci la sua disapprovazione del lavoro minorile nella Gran Bretagna pubblicava romanzi, oggi Charles Dickens non scriverebbe un romanzo ma farebbe una serie televisiva“.
Un’affermazione forte che ha trovato un riscontro positivo nelle posizioni degli ospiti della masterclass e nei cambiamenti di prospettiva non solo da parte del pubblico, ma anche da parte dei professionisti del settore. Andrea Porporati ha colto la provocazione di Spagnoli spiegando come, negli anni, sia cambiata anche l’idea del “fare televisione”: in passato gli scrittori denigravano chi faceva cinema, mentre con l’avvento del piccolo schermo i ruoli si sono ribaltati e la maggior parte dei registi cinematografici pensava che i prodotti televisivi fossero di qualità inferiore rispetto a quelli realizzati per il grande schermo. Come si suol dire, la storia si ripete: cambiano gli attori, ma non i ruoli e fino a poco tempo fa era la televisione a puntare il dito contro le web series vedendole come prodotti low cost e di bassa qualità, senza pensare che forse sono l’ennesima carta vincente estratta dal mazzo del cambiamento mediatico globale.
Anche le varie figure professionali hanno risentito di questa evoluzione che è avvenuta, ma che in parte è ancora in atto. All’estero, infatti, si è sentita l’esigenza di dare vita a una nuova figura: lo showrunner, il vero e proprio direttore creativo dell’opera, colui che segue i processi di scrittura fino a curare i messaggi che il film vuole lanciare. Si è sentita l’esigenza di unificare il tutto, di non sezionare più il processo creativo in tante parti e di dare unità ai progetti.
Insomma, quello della letteratura con la televisione sembra essere un matrimonio destinato all’eternità, a cambiare sono solo le modalità e i messaggi che vengono lanciati e le serie televisive sono diventate un linguaggio universale, un prodotto vincente in tutto il mondo. Vero è che spesso il tempo narrativo dei romanzi non si adatta a quello della serialità, ma in quel caso devono entrare in gioco le competenze e, come ha detto De Cataldo, lo scrittore deve “sporcarsi” le mani con lo sceneggiatore per valorizzare attraverso il piccolo schermo sia l’opera letteraria che il prodotto televisivo.
Twitter: @amiraabdel13