Elezioni in Myanmar: dalla dittatura alla finta democrazia

La Commissione Elettorale, dopo le elezioni in Myanmar (ex Birmania), ha annunciato l’esito definitivo delle elezioni che si sono svolte domenica. Confermata la vittoria del premio Nobel per la Pace ed esponente dell’opposizione, Aung San Suu Kyi, leader della Lega Nazionale per la Democrazia. Sono 291 i posti conquistati dal partito in Parlamento, contro i 27 ottenuti dal partito dell’Unione dello Sviluppo e della Solidarietà (Udsp), espressione della giunta militare al potere.

Aung San Suu Kyi aveva vinto le elezioni già nel 1990 ma furono subito annullate dalla giunta militare, mentre lei veniva imprigionata. Dopo un quarto di secolo la figlia del fondatore della Birmania indipendente si troverà a dover formare un governo, probabilmente anche facendo compromessi con chi è sostenuto da quei militari che hanno schiacciato per decenni la libertà del suo popolo. Rompe il silenzio in un’intervista alla Bbc il premio Nobel per la Pace affermando: «I tempi sono cambiati, la gente è cambiata», e continua: «Abbiamo ottenuto la maggioranza», «trovo che la gente adesso sia molto più politicizzata, non solo rispetto al 1990 ma anche rispetto al 2012», in più aggiunge: «La gente è molto più vigile rispetto a ciò che succede, c’è la rivoluzione della comunicazione, che ha fatto una differenza enorme: tutti vanno sulla Rete e informano tutti gli altri su quello che succede. Quindi è molto più difficile per coloro che vogliono commettere irregolarità farla franca».

 

Il premio Nobel per la Pace ha ammesso che ci sono state aree di intimidazione durante il voto. Per poi aggiungere che «le elezioni non sono state eque ma fondamentalmente libere». E anche dai vertici del suo partito si punta il dito contro il ritardo nell’ufficializzazione dei risultati definitivi da parte della Commissione elettorale: «È intenzionale, forse vogliono imbrogliare», ha detto il portavoce del partito, Win Htien. Erano stati proprio i rappresentanti della Lega Nazionale per la democrazia a far sapere per primi già nel pomeriggio di lunedì di aver conquistato 44 dei 45 seggi nella camera bassa del Parlamento assegnati a Rangoon, e tutti e dodici i seggi assegnati nell’ex capitale per la Camera alta. Da parte della Commissione elettorale martedì mattina è arrivata la conferma che il partito di Aung San Suu Kyi ha ottenuto 78 degli 88 seggi sinora assegnati, sul totale di 440 della Camera bassa. Il partito al governo, Unione per la solidarietà e lo sviluppo (USDP), ha ottenuto solo il 5 per cento dei voti, nonostante avesse vinto le ultime contestate elezioni. Ai militari, che fanno riferimento all’USDP, sarà comunque riservato il 25 per cento dei seggi: potranno inoltre mettere il veto su eventuali riforme della Costituzione. In un video, il presidente del partito USDP ha ammesso che il suo partito ha perso più seggi di quanti ne ha guadagnati.

 

Sembra tutto perfetto nella nuova Myanmar democratica, ma nella realtà c’è ancora molto da fare, infatti, Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace nel 1991 e leader della Lega Nazionale per la democrazia (Nld), non potrà candidarsi alle prossime elezioni presidenziali perché madre di figli stranieri, come stabilisce la costituzione del Paese emanata nel 2008. In un recente voto al parlamento la maggior parte dei parlamentari ha votato a favore del cambio costituzionale che avrebbe permesso ad Aung San Suu Kyi di candidarsi, ma per approvare l’emendamento era richiesta una maggioranza qualificata del 75 per cento dei voti più uno. Ma visto che il 25 per cento dei membri del Parlamento è nominato direttamente dai militari ed è necessaria una maggioranza qualificata per modificare la Costituzione, i militari detengono di fatto un potere di veto sugli emendamenti. Era difficile che avrebbero votato contro un articolo che loro stessi hanno inserito nella Costituzione del 2008, proprio per ostacolare una possibile carica presidenziale di Aung San Suu Kyi. Staremo a vedere se ora in avanti il Myanmar passera dalla finta-democrazia ad una vera democrazia.