Derby di Roma: la prima volta senza le curve
Domani ci sarà il derby Lazio-Roma e per la prima volta si giocherà senza il pubblico dei due settori più caldi. Le curve. Gli ultras delle due squadre hanno deciso di non partecipare (come già nelle precedenti partite) in segno di protesta contro le recenti disposizioni del prefetto Gabrielli. Vale a dire filtraggi all’entrata molto più serrati e pareti divisorie in curva per separare i vari settori. Il derby è sempre una partita speciale proprio per come il pubblico la vive, per le coreografie, per lo scambio di sfottò e per il calore da trasmettere alla squadra. Sarà quindi un derby monco, sicuramente triste. In fondo una sconfitta per tutti. Ma come, e perché, si è arrivati a questo punto?
Molte delle motivazioni degli ultras sono probabilmente giuste. Queste disposizioni valgono solo a Roma dove i problemi ci sono in genere fuori dallo stadio e non dentro, con le telecamere non occorre fare queste divisioni, se qualcuno fa qualcosa di male si può vedere e provvedere all’arresto subito dopo la gara. A causa delle divisioni della curva molti amici che andavano insieme si ritrovano improvvisamente separati. Tutto giusto. Però….come si è arrivati a questo? Bene o male le scale che dividevano i settori già c’erano, già c’erano i tornelli, come mai questo inasprimento dopo tanto lassismo, come mai misure che colpiscono indiscriminatamente tutti, non solo chi gli incidenti li fa?
Abbiamo contattato un funzionario di Polizia che partecipò alla prima task force nella quale si mise a punto il meccanismo (rivelatosi poi fallace) della tessera del tifoso. La cosa più significativa emersa dalle sue parole è che “lo stadio come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi non esisterà mai più”, quella sorta di zona franca con delle regole tutte sue appartiene oramai al passato. I posti erano numerati anche prima e le scale c’erano anche prima, ma nessuno stava al suo posto e le scale erano comunque “posti”, anche perché lo Stadio Olimpico, essendo stato fatto male, ha dei posti dai quali non si vede il terreno di gioco. Ma lo scopo è proprio rendere la vita impossibile ai facinorosi e non farli avvicinare allo stadio. Questo, molto probabilmente, porterà gli scontri fisici lontano dall’ Olimpico, ma non li farà scomparire. De resto De Santis, colui che è accusato di aver sparato al tifoso napoletano Ciro Esposito, era sottoposto a Daspo ed il fatto è avvenuto a 3 Km dall’ impianto. Quello che deve essere preservato è proprio lo stadio, la partita. Quando in Inghilterra furono prese misure drastiche nei confronti degli hooligans si approntarono all’interno degli stessi stadi degli uffici per fare dei processi immediati e convalidare gli arresti. Il tutto con estrema severità a rapidità. Ma gli altri tifosi, quelli tranquilli, non devono comunque subire chissà quali controlli, ci sono gli steward e dell’ordine se ne occupano loro, la polizia resta fuori. Certo anche per gli appassionati della Premier ci sono ora molte regole che prima non esistevano (non si possono bere alcolici, non si può stare in piedi e non si può bestemmiare) e colpiscono tutti, se ne lamentava Johnny Rotten dei Sex Pistols giorni fa, e molti hanno smesso di andare allo stadio. Ma non tutti, anzi, gli stadi sono sempre pieni. Ed è proprio quello che le
società vogliono. Da quando sono arrivati grandi imprenditori stranieri il nostro calcio è entrato in una dimensione di business assoluto, non che prima non lo fosse, ma ora lo è in maniera più marcata. La Roma, ad esempio, se non entrassero più i tifosi della curva sud si risparmierebbe 180.000 € a stagione di danni da pagare al CONI, più le multe. Ed in genere sono anche tifosi che non spendono molto, che non comprano i prodotti ufficiali della squadra ma quelli del loro gruppo di appartenenza. Oltretutto tengono lontane le famiglie che per loro timore restano a casa. Se non ci fossero più loro le famiglie ci andrebbero, e sono almeno tre persone, comprerebbero le sciarpe ufficiali al bambino, lo rimpinzerebbero di “porcherie da stadio” che attirano i bimbi come la luce attira le falene, insomma, alle società una famiglia rende nettamente più che un ultras. I gruppi delle curve ora si sentono usurpati, sentono che qualcuno detta le regole in “casa loro”, ma come ha detto due giorni fa Gabrielli non lo devono proprio più pensare che lo stadio sia casa loro, perché non lo sarà più. E tutto sarà più semplice con gli impianti di proprietà in quanto se si può discutere della legittimità o meno di provvedimenti come il Daspo, negli stadi privati saranno le società a decidere chi far entrare o meno e, come è successo ad esempio agli ultras dell’Atletico Madrid, probabilmente verrà impedito loro l’ingresso. Senza alcun bisogno di Daspo. Quel modo di vivere il calcio, la partita, lo stadio, è finito, o sta per finire, ed il processo è irreversibile.
E’ triste parlare del derby in questi termini, per questi problemi, sarebbe stato bello scrivere un articolo sul momento delle squadre, sugli eroi per caso da derby come Cassetti, come Gottardi, come Piacentini o come Rozzoni, sarebbe bello vedere ancora le splendide coreografie delle due curve romane, ma purtroppo, ripetendo le parole del poliziotto “quel tipo di stadio non esisterà più”. E Gabrielli non crediamo che potrà cambiare idea per i cori contro di lui o perché i gruppi non entrano in curva. I tifosi così facendo danneggiano solamente se stessi e la squadra che dovrebbero sostenere. L’augurio è che lo stadio torni ad essere colorato, che il derby torni ad essere derby, ma di sicuro non cambieranno le intenzioni delle forze dell’ordine e del prefetto e di sicuro gli ultras non si piegheranno al rispetto delle nuove regole. Probabilmente e tristemente quei derby sono finiti per sempre.