Cuba-Usa, il disgelo torna in freezer

Questa volta sembrava che la storia potesse cambiare. Che l’inversione di rotta segnata dalla progressiva distensione dei rapporti tra gli Stati Uniti d’America e l’isola di Cuba potesse conoscere finalmente uno dei momenti storici dai quali difficilmente è possibile tornare indietro: una presa di posizione chiara sulla rimozione del bloqueo¸ l’infausto embargo contro Cuba.

 

Alla vigilia del 27 ottobre, data in cui l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha votato il progetto di risoluzione proposto da Cuba contro il blocco economico Usa, c’era una certa fiducia sia tra i commentatori più attenti che tra i rappresentanti dei Paesi più vicini a Cuba: se non un voto palesemente in favore del progetto cubano, quantomeno l’astensione degli Stati Uniti, che avrebbe potuto innescare quella di Israele, era nell’aria. Non è la prima volta, del resto, che Cuba porta la sua causa nel cuore assembleare del pianeta: la prima volta fu nel 1991, in pieno periodo especial, ma gli Stati Uniti fecero pressione perché venisse ritirato; la risoluzione contro il blocco fu allora ripresentata nel 1992, ottenendo l’approvazione dell’assemblea  con 59 sì, 3 contrari e 71 astenuti. Da allora, e qui si sconta la drammatica impotenza dell’Onu, Cuba ha continuato a presentare la sua risoluzione, e i paesi contrari al blocco sono aumentati sempre più di anno in anno fino a raggiungere i 188 nel 2012.

 

Eppure, per la prima volta da quando l’embargo fu stretto intorno a Cuba, dopo oltre mezzo secolo di ingerenze e aggressioni, l’apparente disgelo degli ultimi mesi, e le stesse dichiarazioni di Barack Obama – il quale ha pubblicamente sostenuto l’inefficacia e il fallimento dell’embargo – avevano acceso più che una miccia di speranza, bensì l’attesa fondata che lo scoglio principale per un vero salto di qualità nei rapporti tra il gigante americano e la piccola isola socialista venisse definitivamente superato.

Invece non è stato così.

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, riunita martedì 27 ottobre per deliberare sul progetto di risoluzione di Cuba contro il blocco economico statunitense, ha approvato il testo con la cifra record di 191 favorevoli e 2 contrari: Stati Uniti e IsraeleMariela Castro, figlia minore del presidente, ha riassunto in una frase quello che in molti hanno pensato e dichiarato: «Si aspettava e sperava in un’astensione». Cioè almeno in un segnale forte da parte degli Stati Uniti perché la distensione non restasse solo una questione di parole, ambasciate e cavilli economici, ma divenisse un fattore reale di mutamento, anche dei principi, di quei principi democratici che gli Stati Uniti tanto osannano quanto in realtà calpestano. Il voto contrario degli Stati Uniti non solo segna una battuta d’arresto, ma rischia di diventare un passo indietro. Con un presidente prigioniero in casa propria e ostaggio di un congresso che fa pesare tutta la sua prepotenza in particolare nei rapporti con l’esterno, la politica estera di Obama risulta terribilmente compromessa e per certi versi contraddittoria. Ne erano già prova lampante le reiterate sanzioni contro il Venezuela e i continuati tentativi di destabilizzazione proprio mentre erano in corso le contrattazioni con Cuba.

 

Questo 27 ottobre la politica degli Stati Uniti nei confronti dell’America Latina sarebbe potuta cambiare davvero, e in meglio, dopo un Novecento disastroso e disumano. Invece non solo non è cambiata, ma tutti gli sforzi per migliorarla potrebbero crollare come un castello di carte al prossimo giro elettorale. E vien da chiedersi a cosa serva votare un 191 a 2 se poi il valore di questo voto è più simile al soffio con cui si abbatte il castello di carte.

@aurelio_lentini

 

Leggi di più sul voto del 27 dai quotidiani cubani:
Granma Granma 2 Granma 3
Juventud Rebelde

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