Marino “revenant”, la retromarcia su Roma e quel che accadrà
Lo strano caso del sindaco di Roma che in un primo momento decide di dimettersi e poi fa retromarcia, oltre che renderlo ancora una volta oggetto di scherno tra gli utenti di Twitter (battute ironiche, meme surreali e chi più ne ha più ne metta), ha innescato la miccia dello scontro finale col Pd. “Io non voglio uscire dalla porta di servizio, caro Orfini. Se devo farlo, voglio uscire dalla porta principale: l’aula Giulio Cesare”, aveva dichiarato il sindaco marziano lo scorso mercoledì notte in seguito ad un incontro con lo stesso Orfini ed il vicesindaco Caudo.
Il ritiro delle dimissioni, nonostante fosse nei piani del sindaco, poteva aspettare ancora qualche ora, ma nel primo pomeriggio della giornata di ieri, in seguito alle notizie preoccupanti che giungevano dalla sede del Pd (numeri e nomi di consiglieri pronti a dimettersi), ha deciso di giocare d’anticipo e ritirare le dimissioni nonché chiedere un dibattito in Consiglio: “Se c’è un luogo sacro per la democrazia, in questa città quel luogo è l’aula di Giulio Cesare. È lì che voglio avere una discussione aperta, franca e trasparente con la mia maggioranza. Se la mia maggioranza lo vorrà, naturalmente”.
Nella lettera del dietrofront Marino ha rivendicato i successi ottenuti con il suo mandato ma ha recitato anche un severo mea culpa: “Mentre sono certo che il nostro operato abbia con fatica raggiunto l’obiettivo di ripristinare legalità e trasparenza dell’agire amministrativo, mi è chiaro che questo sforzo non è stato da solo sufficiente a garantire i necessari risultati di buon governo della città. Non ho difficoltà ad ammettere alcuni errori perché ho dato l’impressione di non voler dialogare e di non voler condividere queste scelte con la città. Non era questo il segno che volevo dare”. Il ritiro delle dimissioni è diventato presto ufficiale durante la serata, quando, il documento è stato protocollato in Campidoglio, proprio mentre il Pd annunciava una riunione per bruciare la terra intorno al sindaco “revenant” e, a grande sorpresa, sul principale dei Sette Colli, spuntavano militanti di Casapound che intonavano coretti a favore del marziano.
Stano ma vero. “Resta con noi, Marino resta con noi”. Sotto Palazzo Senatorio, armati di megafono, gli esponenti del noto partito di destra hanno tuttavia messo le cose in chiaro: “Oggi, e solo oggi, tifiamo per Ignazio Marino che, nella sua pazzia, è l’unico a tenere in scacco Renzi. Noi abbiamo sempre contestato Marino ma oggi siamo con lui. Si è messo contro i poteri forti, ma non ha rappresentato la soluzione per Roma, la sua pazzia in questo frangente è positiva perché mette a nudo il Pd. Marino fai a brandelli quel che resta del Pd!”.
La riunione Pd, svoltasi nella sede del Nazareno, con il preciso obiettivo di far dimettere in massa ben 25 consiglieri necessari allo scioglimento dell’assemblea capitolina e far decadere la giunta, è terminata nella notte. Ma la decisione sulle suddette dimissioni è slittata alla giornata di oggi. Orfini nottetempo con il favore delle tenebre via Twitter ha fatto sapere che il gruppo sarebbe compatto e che non ci sarebbero né divisioni né defezioni. Inoltre ha dichiarato: “Spiace che Ignazio Marino abbia vanificato uno sforzo comune per individuare soluzioni che avessero al centro la città e non i destini personali”.
Attualmente, stando a ciò che ha fatto trapelare il Pd, sarebbero proprio 25 i consiglieri comunali decisi a dimettersi per decretare la morte della giunta Marino: oltre ai 19 consiglieri dem, ce ne sarebbero anche 2 della lista Marchini (Marchini stesso e Alessandro Onorato), Parrucci di Centro Democratico, Cantiani del PdL, Svetlana Celli e Di Noi del gruppo Misto, con l’aggiunta di Sveva Belviso pronta a dimettersi una volta raggiunta la fatidica quota 25. Dunque lo scioglimento del Comune sarebbe quasi certo e impedirebbe il famoso confronto che invece Marino chiede avvenga in Aula. Qualora non si avessero i numeri necessari, una seconda opzione per far cadere il sindaco sarebbe la sfiducia: Il Pd dovrebbe presentare in Assemblea Capitolina una mozione di sfiducia, o appoggiarne un’altra. Questo tipo di soluzione però farebbe slittare i tempi poichè la mozione dovrebbe essere discussa non prima di dieci giorni dalla consegna e non oltre i trenta.
In entrambi i casi, comunque, si verificherà la decadenza di sindaco, giunta e consiglio. Gli organi resteranno in carica con poteri di ordinaria amministrazione fino alla nomina di un commissario prefettizio che guiderà la Capitale per 90 giorni entro i quali il Governo, con il ministro degli Interni, proporrà al presidente della Repubblica la nomina del commissario straordinario che resterà in carica fino alle elezioni di primavera (la prima finestra utile per andare al voto, in base alla Legge 120 sulle elezioni negli enti locali del 1999, è quella della prossima primavera; il voto si potrebbe tenere in una domenica tra il 15 aprile e il 15 giugno 2016).
Quel che è certo è che la singolar tenzone tra Ignazio Marino ed il Pd avrà probabilmente un vinto ed un vincitore nella giornata di oggi. E, se premettiamo che fonti vicine al segretario del Pd Matteo Renzi smentiscono le voci che volevano il premier con posizioni divergenti da quelle del presidente del partito, nonchè commissario romano Matteo Orfini, allora la posizione del marziano in bicicletta si fa davvero pericolosa.