Inside Out. Il pubblico tra gioia e paura
“Rivoluzionario e commuovente” per Matteo Bordone di Internazionale, “Un film – un gioco – sensazionale” per Concita de Gregorio che firma un lungo pezzo su Repubblica, “ il secondo film più bello dell’anno (finora)” per Panorama. Stiamo parlando di Inside Out, ultimo lavoro della Pixar che vede alla regia Pete Docter, già nella stessa squadra come regista, sceneggiatore e animatore. Il film, presentato il 18 Maggio di quest’anno al Festival di Cannes, è arrivato nelle sale statunitensi il 19 Giugno e in quelle italiane solo il 16 Settembre. Una pellicola che ha smosso sui giornali, i social, “la rete” in generale, una certa viralità d’interesse, registrando incassi da Record tanto negli Stati Uniti quanto in Italia, dove ha portato a casa 5,7 milioni di euro solo nel primo fine settimana, che di questi tempi di cinema magro e bisognoso non è poco.
Un film in grado di suscitare un dibattito condiviso (costruttivo o meno, questo è ancora da valutare) su temi che stanno cari alla società, quali l’educazione, l’infanzia, la conoscenza, la psicologia. Proprio per questo, Inside Out, come tutti i prodotti destinati alle fasce d’età più piccole, attira l’attenzione tanto di chi lo definisce un capolavoro per adulti, tanto di chi lo trova un ottimo punto d’appoggio per i bambini. Certo è che, confrontato con i cartoni che hanno dato il pane a tutte le generazioni precedenti, dai manga giapponesi ai cani dalmata della Disney, Inside Out prende le distanze in modo evidente. Non più quindi animali parlanti, fatine e mostri dal cuore buono, ma un simbolismo più sottile che si nasconde nei recessi più intricati della mente.
C’è una morale. Ovviamente c’è. Neppure tanto nascosta se nella testa di Riley, undicenne in evoluzione, fanno a cazzotti le emozioni di gioia, tristezza, rabbia, paura e disgusto, fino a quando nella convivenza e nell’accettazione reciproca di tutti questi sentimenti si realizza una nuova e più solida forma di equilibrio. E questa morale sta nel comprendere che il lieto fine, così come per più di mezzo secolo, la stessa Disney ha disegnato e impresso nei nostri cuori, non si ottiene senza turbolenze e senza una visione un po’ manichea dell’esistenza.
Eppure leggiamo, sulle pagine di Wired, una recensione che lascia un po’ colpiti: “La sensazione è che gli spettatori sotto gli otto anni di età, di Inside Out possano comprendere davvero poco. Certo, ameranno i personaggi buffi come Rabbia, o delicati come Gioia, o pasticcioni come Bing Bong […] Ma non avranno alcuna possibilità di comprendere a fondo – e forse neanche molto in superficie – il messaggio di questa trama complessa.” Lontani dall’arduo compito di voler decidere cosa i bambini possano e non possano comprendere, ci sembra qui che il simbolismo che ogni storia o poetica può assumere (compresi i cani dalmata di cui dicevasi sopra) sia andato ad intercettare una tematica molto più scottante che investe gli adulti ancor più che i piccoli. Ed è così che l’adulto rinuncia malvolentieri all’idea che l’infanzia sia solo una terra dorata dove è impossibile provare paura e dolore, oppure riflettere su questioni che ci accomunano tutti, senza perdere per questo, quell’ingenuità che solo i bambini possiedono.