Siria: l’allargamento dello scacchiere e l’escalation che verrà
I teatri di guerra attualmente aperti o temporaneamente latenti disegnano sulla mappa del mondo una frattura che va dall’Ucraina, alla Macedonia, al nord Africa, fino alla Siria e all’estrema punta della penisola arabica nel territorio yemenita. Ognuno di questi conflitti può essere studiato nei suoi diversi aspetti come una “buccia di una cipolla”: nello strato superficiale troveremo un conflitto locale o tribale coi caratteri apparenti di una tipica guerra civile su scala nazionale, negli strati successivi puntualmente emergono evidenti tratti di transnazionalità come il franchising terroristico sunnita dello Stato Islamico, cui si richiamano gruppi fondamentalisti operanti a migliaia di chilometri di distanza in teatri completamente diversi come quello nigeriano, o il fronte di solidarietà sciita che abbraccia dalla Siria di Assad, all’Iran, agli Hezbollah libanesi impegnati al confine col sud del Libano. Negli strati più profondi della nostra cipolla, spesso epicentro del conflitto e senza i quali ogni lettura degli scenari in corso rischia di essere parziale e fuorviante, è possibile riconoscere il conflitto tra super-potenze di cui guerre apparentemente scollegate costituiscono il frammentato fronte planetario. Accade così che di volta in volta i vari teatri attraversino periodi di pericolosa escalation dovuta proprio dalla pressione delle potenze straniere che armano, finanziano e addestrano le varie fazioni locali. Soltanto quando la situazione lo richiede queste intervengono direttamente, anche se raramente alla piena luce del sole, ed è da queste possibili copresenze di militari che possiamo aspettarci, ma non augurarci, l’irreparabile deflagrazione delle ostilità su una scala ancora più vasta (e non più occulta). Oggi, la polveriera cui tutti avvicinano il proprio fiammifero è di nuovo la Siria.
In Agosto il congresso USA ha autorizzato bombardamenti contro l’esercito di Assad qualora questo venisse in contatto con l’opposizione belligerante siriana (ne esiste anche una non belligerante la quale critica il regime senza togliere l’appoggio ad Assad) da sempre appoggiata dal pentagono e in buona parte fagocitata dall’ISIS in questi anni di guerra. Chiaramente il possibile casus belli è all’ordine del giorno e la decisione di attaccare chi combatte contro l’ISIS è in linea con quanto dichiarato dallo stesso Obama nel Novembre 2014: “non possiamo sconfiggere l’ISIS finché Assad resta al suo posto”. Ci si domanda se i bombardamenti contro l’esercito regolare siriano saranno infruttuosi come quelli che gli Stati Uniti da un anno conducono contro lo Stato Islamico, c’è da dubitarne.
La Siria è alleata con la Russia e Putin ha ribadito il suo appoggio ad Assad in vista della recente avanzata dell’ISIS, data alle porte di Damasco. Gli obbiettivi della Russia sono molteplici: difendere un alleato considerato affidabile come Assad, difendere le basi navali mediterranee russe in Siria a Tartus e Latakia, arginare l’interventismo occidentale in Siria come già accaduto nel 2012 e nel 2013, quando l’attacco USA ad Assad in sostegno della “primavera siriana” già pronto e pianificato si arrestò davanti ai niet dello zar e della Cina al Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Fonti ufficiali russe ammettono il supporto, il partnenariato tecnologico sul fronte militare e l’addestramento delle truppe di Assad, le fonti USA parlano di contingenti russi già trasportati e potenzialmente operativi in Siria.
Sul lato europeo gli aerei inglesi sarebbero pienamente operativi fin da agosto al fianco dell’evanescente coalizione anti-ISIS, a questi si sono uniti la scorsa settimana i Mirage francesi, per ora in volo di ricognizione e probabilmente presto coinvolti in missioni d’attacco a terra. Sia Cameron che Hollande hanno ribadito che non esiste soluzione anti-ISIS senza la neutralizzazione di Assad, curiosa teoria visto che l’esercito di Assad ha pagato il tributo di sangue e di territorio più ingente alla causa anti-ISIS. Esiste inoltre un’intesa tra USA e Turchia, potenza regionale ampiamente ambigua nella sua relazioni con l’ISIS negli anni passati in chiave anti-curda, per “sgomberare” 70 Km di “zona liberata” a ridosso del confine turco, ma in territorio curdo-siriano. Questa striscia di terra, di fatto sottratta ad uno stato ancora sovrano per quanto in via di dissoluzione, servirebbe da base logistica (come se ne mancassero nei dintorni) anche per le missioni degli aerei statunitensi.
La corsa alla Siria non finisce qui, nessuno sembra voler mancare alla macabra festa e qui l’intreccio delle accuse e delle fonti contrapposte si fa in certi casi addirittura labirintico. Secondo fonti israeliane l’Iran avrebbe inviato i propri marines, almeno mille, in supporto a Damasco. Secondo fonti russe Israele, il quale per certi versi sembra avere un grottesco patto di reciproca non aggressione con l’ISIS, avrebbero effettuato raid aerei contro postazioni dell’esercito di Assad già la scorsa settimana nei pressi di Al Zabadani.
Emergono dunque due domande: “quanto si è disposti a rischiare un’ulteriore escalation?” e “cosa ne sarà del territorio siriano tra qualche anno?”.
Al primo interrogativo è facile rispondere, si è pronti a rischiare molto, moltissimo, visto che sul mare, la terra e i cieli della Siria saranno (quando non lo sono già) contemporaneamente coinvolte in azioni operative il seguente coacervo di forze straniere opposte e inconciliabili: USA, Russia, ISIS-Al Quaeda, Israele, Iran, Turchia, Hezbollah, Francia, Inghilterra e Giordania oltre naturalmente alle locali formazioni siriane lealiste e curde. Qual è la probabilità di un “incidente” nel quale qualcuno abbatta l’aereo sbagliato in tale scenario con successiva rappresaglia? Quante potenziali mine vaganti in un territorio relativamente circoscritto e del tutto fuori controllo?
Alla seconda domanda è facile rispondere immaginando una geografia politica siriana che si vorrà in futuro frazionata in statarelli e aree di influenza eterogenee: il Golan definitivamente a Israele ( sempre che i falchi di Tel Aviv non dovessero ingolosirsi, magari per creare un cordone di sicurezza tra Israele e l’ISIS che a quel punto verrebbero a confinare), una zona Turca a forte influenza USA (NATO), una possibile enclave lealista a maggioranza alawita/sciita difesa dai russi e dagli iraniani e il Califfato, con buona pace delle solitarie minoranze curde ancora e di nuovo sottomesse dopo aver combattuto valorosamente a difesa della propria terra e cultura.
Con un massacro in corso da tre anni e tali rosee prospettive per il futuro non ci vuol molto a capire le ragioni che muovono i profughi siriani a cercare rifugio in terra d’occidente. L’analisi deve partire da qui per scongiurare ulteriori destabilizzazioni, migrazioni ed escalation militari planetarie. Tutto il resto è fumo negli occhi, propaganda e demagogia.
Daniele Trovato
Twitter: @aramcheck76