Usa-Cuba: tra aperture e puzza di bruciato
Dopo più di mezzo secolo Cuba e gli Stati Uniti hanno riaperto le rispettive ambasciate. Mentre la bandiera a stelle e strisce sventola a l’Avana, il vessillo cubano, per anni simbolo delle lotte contro l’imperialismo americano, sventola a Washington. Tuttavia il processo di normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi è ancora molto lungo e complicato.
Non sono mancati i pettegolezzi nel corso dell’estate, come la presunta assunzione dell’Ex direttore del Fondo Monetario Internazionale Dominique Strauss-Kahn come consigliere di Cuba in questa fase di transizione; ed è proprio questa ipotesi, circolata intorno la metà di luglio, che oggi alimenta la “voce” più interessante della fine dell’Estate: Cuba si prepara a fare richiesta di ingresso nel FMI?
Secondo l’economista Douglas Tamayo, come riporta Il Manifesto, la possibilità che Cuba, dopo il processo di pacificazione avviato con gli Stati Uniti, stia per avvicinarsi al suo secondo “nemico storico” è più che fondata. La spiegazione è piuttosto semplice: il governo di Cuba ha bisogno di investimenti esteri per continuare il piano di riforme intraprese nel settore sociale ed economico, e non passa settimana che non ci siano appuntamenti illustri per prendere accordi bilaterali con i paesi di ogni parte del mondo (Europa e giganti asiatici compresi), tuttavia le cifre necessarie sono piuttosto elevate (si parla di almeno 2,5 miliardi di dollari all’anno) e dunque la richiesta di adesione a un organismo internazionale come il Fondo Monetario Internazionale (con la Banca Mondiale alle spalle) sarebbe la carta più probabile da scoprire.
La domanda è, perché il FMI? Perché con ogni probabilità alternative non ce ne sono, anche se questa opzione puzza terribilmente di bruciato. Fatta eccezione degli organismi di sviluppo sud-sud presenti in America Latina, che comunque hanno possibilità limitate, ed esclusa l’americanissima Banca Interamericana di Sviluppo agganciata all’OSA (Organizzazione degli Stati americani dalla quale Cuba era stata espulsa nel 1962 per volere di Washington), il Fondo Monetario resta, secondo Tamayo, l’organismo più multilaterale che ci sia.
L’opzione più ovvia naturalmente sarebbe aderire alla neonata Banca di Sviluppo dei Brics, ma su quel fronte, dopo la crisi cinese, almeno sui media internazionali tutto tace e si suppone che i tempi operativi siano ancora lunghi.
Le scelte prese in fretta, come si sa, raramente portano a buoni risultati, ed è perciò che l’apertura “forzata” agli organismi cardine del neoliberismo puzza di bruciato: perché sebbene siano state riaperte le ambasciate, e nonostante Cuba sia stata tolta dalla lista dei paesi che incoraggiano il terrorismo, il 5 settembre il governo degli Stati Uniti ha prorogato per un altro anno (fino al settembre 2016) la Legge di Commercio con il Nemico, uno statuto del 1917 che è la base normativa dell’Embargo contro Cuba applicato da Kennedy per la prima volta nel 1962 e da allora rinnovato di continuo.
Considerato che è proprio la permanenza dell’embargo a soffocare l’economia cubana; che continua a essere incomprensibile la politica a doppio binario perseguita dagli USA nel confronto con il Venezuela (paese fondamentale per i rapporti sud-sud nel bacino latinoamericano); e che la sospensione dell’embargo è stata giustamente posta come condizione principale per la prosecuzione dei negoziati da parte di Cuba (il prossimo incontro della commissione bilaterale è fissato per i primi di novembre), le mosse degli Stati Uniti continuano ad essere quantomeno ambigue.
Del resto l’obiettivo dichiarato è chiaro: favorire attraverso un progressiva erosione del ruolo dello stato lo sviluppo a Cuba di una società civile, aprendo la strada a un futuro pluralismo politico. Resta da capire se dietro la società civile si nasconderanno le mafie economico-finanziarie americane e dietro il pluralismo il modello politico imperiale che, fino a oggi, gli Stati Uniti non hanno smesso di incoraggiare. A Cuba se lo ricordano?
Per l’intervista a Tamayo vedi il seguente articolo de Il Manifesto