La metamorfosi di Elisabetta Ballarin
Ognuno può credere o no alle storie di riscatto di alcune “anime dannate”. L’importante è cercare di capire ogni situazione. In questi giorni si è parlato, soprattutto sul web, di un video in cui vi è un’intervista di 44 minuti fatta ad Elisabetta Ballarin, la ragazza che insieme ad Andrea Volpe, capo guida delle “Bestie di Satana” uccise Mariangela Pezzotta, ex ragazza di Volpe.
Oggi, Elisabetta è una ragazza di 29 anni, che ha passato gli ultimi 11 anni in carcere e che a modo suo ha cercato di ricostruirsi una vita per riscattare la propria e come spiega nel video, andato in onda su una tv Svizzera, di cui a fine articolo riporterò il link, riscattare in qualche modo anche la vita di Mariangela, spezzata in modo atroce dal delirio di due ragazzi sotto effetto di droghe pesanti e falsi ideali. Elisabetta Ballarin fu condannata a 23 anni di carcere per concorso in omicidio con Andrea Volpe, per la morte di Mariangela Pezzotta, nel processo contro quella che è sempre stata considerata una setta: le bestie di Satana. Elisabetta Ballarin è detenuta in regime di semilibertà per motivi di studio e di lavoro nel carcere di Brescia dopo una condanna per i delitti della setta, avvenuti tra il 1998 e il 2004 nel Varesotto. È stata condannata a 23 anni di reclusione per concorso nell’omicidio di Mariangela Pezzotta, ferita a colpi di pistola e poi finita con un badile in una baita a Golasecca (Varese) nel gennaio 2004, di proprietà del padre di Elisabetta, dove all’epoca dei fatti la ragazza viveva con Andrea Volpe.
Il video mostra una bella ragazza, senza segni particolari che possano ricordare un passato difficile, sembra essere abbastanza sicura del suo essere seppure nel rivivere quei momenti terribili della notte in cui partecipò come testimone inerme e collaborando a coprire Andrea Volpe, all’omicidio di Mariangela, si lascia sfuggire dei momenti di pianto e di riso, ricordando anche le massicce dosi di droga che la portarono a non avere coscienza di sé. Ognuno è libero di giudicare e trarre le proprie conclusioni, anche se inizialmente chi si approccia al video con una posizione a sfavore della ragazza, può osservare come effettivamente, Elisabetta è stata in grado, nel bene e nel male di recuperare sé stessa, di far si che il carcere diventi una fonte di cambiamento e di progresso per migliorarsi. L’elemento che stupisce è che il padre di Mariangela Pezzotta veda in Elisabetta una sorta di riflesso di sua figlia, che non avendo avuto la possibilità di vivere, debba in qualche modo fungere da collegamento tra due persone che altrimenti non avrebbero mai avuto un nesso, Elisabetta e Silvio Pezzotta, dunque. Elisabetta sembrerebbe aver vissuto una vera e propria metamorfosi, da ragazzina appena diciottenne tossicodipendente, e completamente dipendente e soggiogata dalla figura emblematica e leader di Andrea Volpe, a ragazza laureata in Arte, che collabora con il volontariato e che è in grado, come dimostra il documentario, a rivivere nei minimi dettagli, a volte agghiaccianti, ma con la lucidità di chi è anche consapevole delle proprie responsabilità, quel terribile delitto. Ciò che sicuramente è particolare nella vicenda è la grande forza del padre di Mariangela Pezzotta, che attua un perdono oltre ogni limite, volto però a dare vita a chi può ancora averne, ovvero Elisabetta, la quale dice esplicitamente di non voler sprecare un “dono” come quello che le è stato concesso anche se, effettivamente indietro non si può tornare, mi sembrerebbe logico ricordare che la vita che sta vivendo lei, mai e poi mai sarà quella che avrebbe potuto vivere Mariangela, proprio perché ognuno è diverso.
È importante però osservare come le dinamiche del perdono a volte si inscrivano in percorsi del tutto articolati, come ad esempio in questa storia. Fa riflette molto inoltre come a volte, delle storia di delitti terribili e violenza psicologica, nascondano al loro interno delle dinamiche ancora più inquietanti, che probabilmente, come in questo caso consentono di rivivere il tutto attraverso i protagonisti ed esclusivamente attraverso loro. Nel momento in cui Elisabetta racconta quella notte, sembra di fare un salto nel tempo e tornare a quella situazione assurda, a volte anche paradossale, come conferma la ragazza, dove tutto sembra assumere una semplicità allucinante che ancora una volta rende assolutamente veritiero il detto per cui sussiste la “banalità del male”.
Qui l’intervista a Elisabetta Ballarin.