11 settembre: come rispose e risponde l’Europa al terrorismo

L’11 settembre segna nella memoria collettiva uno spartiacque, la presa di coscienza che il terrorismo esiste e che può colpire. A quattordici anni dalla strage che ha sconvolto il mondo, dall’Attentato all’America, così definito dalla stampa internazionale, ci si chiede quali risultati l’onda emotiva seguita a quell’orribile strage abbia prodotto e quali sono le conseguenze che ne sono derivate soprattutto a livello comunitario.

 

L’irruenza dell’azione USA in Afganistan è storia, la “guerra al terrorismo” nasce da lì, ma aldilà delle implicazioni geopolitiche, dell’indignazione della prima ora, della solidarietà e del contraccolpo subito, quali soluzioni e strumenti hanno accompagnato l’impegno occidentale di contrasto al terrorismo? «La nostra guerra al terrore inizia con Al-Qāida, ma non finisce lì» annunciava Bush il 20 settembre 2001 e quelle parole, rimaste agli atti della storia, si tradussero nel Patriot act, documento che a poneva un giro di vite atto a rafforzare i poteri dell’Intelligence per preparare l’imminente controffensiva. La linea dura statunitense non ha mai fatto mistero di sé, le critiche e le polemiche concernenti il rispetto dei diritti e delle libertà individuali hanno però acceso un dibattito del tutto sovrapponibile anche al vecchio continente. E’ proprio a seguito del Patriot act che molti stati europei scelsero di radicalizzare il proprio sistema di intelligence. In Gran Bretagna, ad esempio, venne introdotto il fermo a 28 giorni per sospetti terroristi mentre in Francia si optò per la “garde a vue” ovvero la possibilità che i potenziali sovversivi venissero detenuti e interrogati sino a 4 giorni senza l’ausilio di avvocati e magistrati. L’unione doppiò anche altri sistemi repressivi filo-statunitensi, simili al “sistema Guantanamo” americano,vennero adottate le extraordinary renditions altrimenti note come ‘prigioni segrete’, mentre  molti dei nostrani esecutivi coprirono l’enorme flusso di intercettazioni a tappeto che, su pressione USA, diedero origine ad un vero e proprio “tsunami digitale”. Armando Spataro, ex Coordinatore del Dipartimento Antiterrorismo della Procura di Milano, analizzando il fenomeno ne concluse che: «molti dati, troppi dati, senza capacità di una loro selezione a monte e di conseguente analisi a valle equivalgono a nessun dato» affermando come «il c.d. danno collaterale che ne può derivare per le persone di tutto il mondo non è affatto un sacrificio accettabile in nome della lotta al terrorismo».

 

Ogni misura adottata all’epoca è vigente ancora oggi dimostrando come a volte l’impegno profuso nel contrasto ad un fenomeno sia capace di erodere anche il più avanzato sistema di tutela ai diritti umani, quello europeo. Sebbene da allora  si siano  raggiunti risultati importanti dal punto di vista giudiziario, a partire dal mandato d’arresto europeo sino alle squadre investigative comuni e alla Decisione quadro del giugno 2002 con cui si risolsero per la prima volta i problemi attinenti alla definizione di terrorismo, delineandone con precisione le eccezioni, resta  lontana la strada dell’effettiva cooperazione. Anche figure come l’Eurojust e l’Europol con sede all’Aja, pur favorendo lo scambio e il coordinamento internazionale tra le diverse autorità giudiziarie e tutte le forze di contrasto comunque non riescono a correggere le contraddizioni di un sistema diviso tra sicurezza e garanzie individuali, tra approccio confederato e federale.

 

A margine di tutti questi aspetti si impone perciò una riflessione rispetto alla necessità di un’azione di contrasto che sia legale, non propagandistica. Le extraordinari renditions, il “sistema Guantanamo” rischiano infatti di creare un effetto domino che aggiunga problemi a problemi, fondamentalismo a fondamentalismo. E’ per questo che lo scontro tra civiltà a cui siamo abituati a pensare implica per lo meno a premessa che si assuma a presupposto non solo la difesa ma il rispetto della propria cultura, dimostrando fattivamente che un sistema di regole eguale è possibile e lo è sempre , in ogni caso.

 

terrorismo_fobia

@FedericaGubinel