Migranti : ecco il database delle “morti di frontiera”
Duecento in due barconi affondati al largo della Libia. Settantuno schiacciati, soffocati in un camion abbandonato in Austria. Cinquantadue su Poseidon, la nave sbarcata a Palermo. Il contatore dei migranti morti durante la traversata della speranza non accenna a fermarsi. Il numero delle vittime, anzi, ha subito una drammatrica impennata negli ultimi giorni. A questo trend sempre in crescita si accompagna la nostra indifferenza, l’orrida abitudine che ci porta a considerare una vera e propria ecatombe come un fatto naturale, ineluttabile. A voltare lo sguardo di fronte alle immagini dei migranti stipati nel cassone di un tir, a ignorare i corpi galleggianti di bambini che il futuro migliore che cercavano non lo avranno mai. Eppure, lo sappiamo, oltre duemila migranti hanno perso la vita nei primi sette mesi dell’anno. E dal 1993 sono oltre ventiduemila le “morti documentate di richiedenti asilo, rifiugiati e migranti dovute alle politiche restrittive” dell’UE, secondo UNITED. Un elenco lungo trentotto pagine, destinato ad allungarsi.
Oltre i numeri, però, é fondamentale capire chi sono le persone che hanno perso la vita cercando di raggiungere la “Fortezza Europa” che si trincera dietro i suoi confini. Riscoprire i volti di uomini, donne e bambini che si perdono confusamente nei bilanci drammatici di quelle che chiamiamo “tragedie” per deresponsabilizzarci. E capire in che misura quelle morti sono legate alle leggi pensate per tenere fuori chi é nato dalla parte sbagliata del confine.
Human cost of border control, il progetto dell’Università di Amsterdam e dalla Netherlands Organisation for Scientific Research, prova a dare risposta a queste domande. In parte, lo fa con bordersdeath.org, un database che vuole fornire gli elementi necessari a una discussione sulla politica delle frontiere basata sui fatti e spingere perché vengano fatti significativi cambiamenti. Il “Death at the borders database for Souther Europe” ha registrato 3.188 morti dal 1990 al 2013. Un numero molto inferiore a quelli diffusi da UNITED e da “Fortress Europe”, che si spiega con una diversa selezione delle fonti: il database, infatti, registra un decesso solo quando il cadavere viene rivenuto da autorità dell’Europa meridionale. Con il termine “border death”, infatti, i ricercatori identificano “le persone che sono morte nel tentativo di migrare irregolarmente in Europa attraversando senza autorizzazione le frontiere meridionali dell’UE, i cui corpi sono stati trovati o portato nei territori di Spagna, Gibilterra, Italia, Malta e Grecia. Questa definizione esclude le persone i cui corpi sono stati trovati o portati in territori al di fuori degli Stati membri meridionali dell’UE, come la Turchia, l’Egitto, la Libia, la Tunisia, l’Algeria, il Marocco, la Mauritania o il Senegal. Sono escluse anche le persone che sono scomprarse, i cui corpi non sono mai stati trovati”. I dati, altalenanti nei due decenni analizzati, mostrano una drastica impennata nel 2013, dovuta “al naufragio del 3 ottobre 2013 molto vicino a Lampedusa ( Italia) , che – a causa della sua vicinanza all’isola e dell’attenzione nazionale e internazionale che l’incidente ha attratto – ha innescato una massiccia operazione per recuperare i corpi dall’acqua e dal fondo del mare”. In quell’occasione le morti accertate erano state 366, ma negli ultimi due anni le stragi del mare hanno fatto migliaia di vittime, come nel caso del naufragio che in aprile é costato la vita a quasi 900 persone.
Ma di chi sono i corpi recuperati dalle Autorità europee? La grande maggioranza (71%) sono uomini, in gran parte giovani, con un’età compresa tra i 20 e i 29 anni. Vengono dall’Africa subsahariana e dal Nordafrica, ma anche dall’Asia, dal Medio Oriente e dai Balcani. Troppo spesso, a interrompere il loro viaggio della speranza é il mare: il 62% é morto per annegamento, la prima tra le cause di morte cui seguono ipotermia, ferite o violenza, problemi cardiorespiratori, disidatrazione e fame o soffocamento.
Purtroppo, pero`, “uno dei risultati più evidenti del Death at the borders Database è il fatto che quasi due terzi (2073 persone , il 65 %) delle persone registrate non sono state identificate dalle autorità locali. Di loro non sapremo nulla, né il sesso, né l’età, né la provenienza. Saranno morti senza identità, numeri su una statistica. Numeri che le politiche migratorie dell’Europa, quando non ne sono direttamente la causa, non riescono a fermare: “Queste osservazioni sono molto preliminari , ma puntano verso un’ipotesi già comune ovvero che il controllo delle frontiere devi i migranti irregolari e le morti di frontiera, invece di prevenirli”.