Ungheria: il muro che non divide

Nelle ultime 24 ore sono giunti in Ungheria circa 3.000 migranti: il muro ha fallito.
Il governo ha cercato di porre un freno alla situazione inviando 2.100 poliziotti lungo il confine con la Serbia. Ad ogni modo, come affermato dal capo della polizia, Karoly Papp, anche se «la protezione al confine sarà rafforzata con 2.106 poliziotti extra a partire dal 5 settembre», tuttavia questi «non avranno l’ordine di sparare». Il partito del premier Viktor Orbán sembra intenzionato a richiedere al Parlamento l’intervento dell’esercito
«Il governo ungherese e il gabinetto di sicurezza nazionale hanno discusso la questione di come possa essere utilizzato l’esercito per contribuire a proteggere il confine ungherese e i confini dell’Ue», ha spiegato Zoltan Kovacs.
Il muro costruito lungo il confine con la Serbia e con il fine di scoraggiare i migranti nell’accedere all’Ungheria sembra aver sortito l’effetto contrario: oggi è il giorno in cui il maggior numero di migranti ha oltrepassato il confine, probabilmente perché intenzionata ad agire prima che il muro stesso venga ultimato.
Quella attuale è considerata la più grave crisi europea riguardante i rifugiati dalla Seconda Guerra Mondiale.
È stimato intorno a 7mila il numero di profughi che ha l’intenzione di attraversare l’Europa.
Il muro verrà completato a breve, il 31 agosto: una barriera metallica con filo spinato lungo tutta la frontiera con l Serbia (L’Ungheria costruisce un muro contro l’immigrazione clandestina).

Questione di incomprensioni. Sembra, però, che le forze dell’ordine abbiano già utilizzato lacrimogeni contro dei rifugiati in un centro di accoglienza a Roszke. Al momento esistono varie versioni su quanto accaduto: secondo quanto riportato dalla BBC, lo scontro sarebbe sorto dal rifiuto dei migranti di farsi registrare e di prendere le impronte digitali, in quanto il loro obiettivo non era di stabilirsi in Ungheria ma di arrivare nel nord Europa e, invece, essere registrati avrebbe significato dover richiedere asilo a Budapest.
Un altro episodio di tensione si era già verificato nei pressi del centro: secondo un giornalista di Reuters, la polizia ha utilizzato megafoni per far salire circa 400 migranti su pullman messi a disposizione, nonostante un primo rifiuto iniziale.

Da Dublino III a Shengen. Nell’arco di un anno, l’Ungheria è passata dall’accogliere 43mila a 60mila profughi privi di documenti. Inoltre, dall’inizio dell’anno sono arrivati nel territorio ungherese 140 mila migranti. Pertanto, lo scorso 23 giugno il governo ungherese sembrava essere determinato nel non rispettare le regole dell’Unione europea riguardanti le richieste di asilo sancite dall’accordo di Dublino III. Secondo quest’ultimo, spetta al Paese che per primo ha accolto il rifugiato l’esame della richiesta di asilo. La motivazione di tale scelta era stata giustificata con queste parole: «il sistema è ormai sovraccarico di richieste».
Il primo Paese ad allarmarsi è stato l’Austria, data la vicinanza dei territori. Il ministro dell’Interno austriaco, Johanna Mikil-Leitner, ha sottolineato quanto sia importante rispettare Dublino III per poter, a sua volta, non andare contro i principi di un’Europa senza frontiere, come stabilito da Shengen. L’Austria non ha perso tempo e ha immediatamente richiesto alla Commissione Ue di verificare se tale decisione non costituisse una violazione dei Trattati Ue.
Tuttavia, alle 14:00 del giorno successivo il ministro degli Esteri, Peter Szijjarto, ha smentito la notizia dichiarando che «l’Ungheria non sospenderà l’applicazione di alcuna norma comunitaria».

Questione internazionale. La cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha ribadito che l’emergenza immigrazione è una problematica che va affrontata “tutti insieme”. Lo stesso presidente Usa, Barack Obama, si è congratulato con la Merkel, apprezzando particolarmente la decisione di aprire le frontiere ai profughi siriani.
Anche il premier italiano, Matteo Renzi, durante il Meeting di Rimini ha riconosciuto che quella dei Balcani è «un’emergenza pazzesca» e che «Quando parliamo di Mediterraneo non parliamo di una frontiera dell’Ue ma del cuore dell’Ue. Ma non c’è stata sufficiente attenzione della politica nel considerare il Mediterraneo il cuore del dibattito europeo, si è guardato in direzione strabica».
In un’intervista al Corriere della Sera, il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, ha sottolineato come il nostro Paese ha non solo fatto ciò che doveva «molto di più, salvando decine di migliaia di vite umane e accogliendo i profughi» e ha spiegato la situazione attuale in materia con una metafora: «Chiedere a Grecia e Italia di fare i compiti a casa sull’immigrazione sarebbe come dire a Paesi colpiti da un alluvione di accelerare la produzione di ombrelli».
La Commissione europea ha in programma aiuti umanitari per un contributo di 1,5 milioni di euro destinati all’assistenza a rifugiati e migranti in Serbia e Macedonia per garantire servizi di emergenza di base. Proprio giovedì 27 agosto ha avuto luogo a Vienna un vertice tra Paesi dei Balcani occidentali e autorità dell’Unione europea.

Paolo Gentiloni

Twitter: @MariaLauraSerpi