Stefano Muroni, l’importanza dei silenzi
“Molte persone non sanno cosa fare e allora fanno tutto. Io fin da piccolo, invece, avevo un desiderio preciso e sto cercando di realizzarlo a tutti i costi”. Stefano Muroni descrive così la sua passione per la recitazione.
Brillante, appassionato, un intramontabile sognatore, il talento rivelazione cinematografico 2015 ha realizzato tutti i suoi sogni di bambino, dall’ammissione al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma al Telesio d’argento 2015 – un premo già vinto da Luca Argentero, Isabella Ferrari, Riccardo Scamarcio e Giancarlo Giannini. Sempre attento alle grandi tematiche di attualità con uno sguardo alle origini della sua Ferrara, Stefano non dimentica il bambino che era, ed oggi aiuta i ragazzi più giovani di lui nell’approccio a questo mestiere dirigendo il Centro Preformazione Attoriale a Ferrara, la prima scuola in Italia che forma aspiranti attori per le audizioni delle scuole nazionali di recitazione, da lui stesso fondata, e meritando la conduzione del Giffoni film Festival categoria +10 e della MasterClass di quest’anno.
E non solo… Stefano ama parlare della società e dell’attualità e queste sue passioni hanno trovato libero sfogo nel cortometraggio da lui ideato dal titolo “Tommaso”, in cui ha recitato a fianco di Monica Guerritore e Giulio Brogi, che affronta il delicato tema dell’eutanasia e che gli è valso il premio come miglior attore al Napoli Cultural Classic, e nel libro che uscirà a settembre dal titolo “Tresigallo, città di fondazione. Edmondo Rossoni e la storia di un sogno” (edito dalla Pendragon), un lavoro al quale ha dedicato dieci anni e che vedrà l’introduzione di Giuseppe Parlato, la postfazione di Folco Quilici, con un saggio di Antonio Pennacchi – premio Strega 2010.
Ferrarese d’origine hai lasciato la tua città per frequentare il Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma per inseguire il sogno di fare l’attore. Ti ricordi il momento in cui prendesti questa decisione?
Perfettamente. Avevo cinque anni. I primi ricordi di quell’età sono legati all’immagine di me bambino che la sera chiamavo mia madre piangendo, dicendole che desideravo andare a Roma per fare l’attore. Ho iniziato a collezionare pellicole di Sordi, Totò, Troisi, Manfredi. Roma nei film e nei documentari era la patria del cinema, dove è sorta Cinecittà Studios ed è nata la commedia all’italiana.
Nonostante il trasferimento sembra che tu sia rimasto molto legato alla tua terra e alla tua città natale. Alcuni dei progetti ai quali hai preso parte, infatti, le riguardano da vicino, come ad esempio il film sul terremoto del 2012 in Emilia “La notte non fa più paura” e il videoclip per i 70 anni dalla liberazione di Ferrara.
È presente un piccolo dialogo ne “La Grande bellezza” di Sorrentino in cui la suora pluricentenaria rivolgendosi a Jep Gambardella gli domanda: – “Sa perché mangio sempre radici?”. “No perché?” chiede Jep. E lei risponde “Perché le radici sono importanti”.
Ecco, io sono cresciuto in Emilia e ho potuto apprezzarne la cultura, l’atmosfera meravigliosa con i suoi silenzi, la sua campagna, il Po e le vicende che porta con sé. Immediatamente ho sentito la necessità di fermare su pellicola i momenti più importanti della sua storia.
Il terremoto del 2012, una volta ricostruiti gli edifici, sembrava fosse già stato dimenticato. Ma riparare le crepe dei palazzi non equivale a sopperire quelle emotive. Per questa ragione ho scelto di scrivere ed interpretare questa storia. Inoltre, provengo da una terra molto vivace e passionale dal punto di vista politico e raccontare i momenti tragici della guerra mi è sembrato doveroso.
Hai scritto il soggetto di alcuni cortometraggi dei quali sei stato anche interprete. Qual è il filo rosso che lega la passione per la scrittura a quella per la recitazione?
Forse il senso della morte. Ho iniziato a scrivere a 15 anni perché ascoltando i racconti degli anziani su Tresigallo, il paese in cui abitavo, non trovandovene traccia in alcun libro, non potevo rassegnarmi all’idea che sparissero per sempre una volta morti i suoi narratori.
Ho un problema con le cose che finiscono. Sento la necessità di fermarle per farle conoscere a coloro che verranno dopo. Così prendo le storie dimenticate o che si stanno perdendo per sempre e scrivo e recito per tramandarne la loro bellezza. Forse l’eternità non esiste, ma se esiste sta nella continuità.
A soli 26 anni puoi vantare un curriculum di tutto rispetto. A cosa ritieni di dovere questi tuoi successi?
Alla determinazione, alla tenacia, alla voglia di continuare a sognare. Ci sono persone eccessivamente legate alla realtà. Una realtà che ti dice che non ce la potrai mai fare; io non ho mai vissuto in questa dimensione. Per qualcuno è un pregio, per altri un difetto. Per me è un valore. Sognavo di scrivere un libro sulla storia del mio paese mentre mia madre mi chiedeva come potessi pensare che a qualcuno sarebbero interessate le vicende di un piccolo Comune, e l’ho prodotto. Desideravo produrre un film e la mia pellicola è finita a Bruxelles. Vivere in questa dimensione mi permette di vedere tutte le opportunità con una visione a 360 gradi.
In un’epoca in cui il suono è una componente fondamentale di ogni azione ed attività che compiamo ed osserviamo, tu hai scelto di sposare un progetto molto ambizioso che vede un ritorno del cinema muto. Si tratta della pellicola ”Amore tra le rovine”, l’unico film italiano in selezione al Seattle International Film Festival. Come mai questa scelta?
Era un modo per omaggiare il cinema muto e la Grande Guerra. Un film di questo tipo per un attore della mia generazione è qualcosa di totalmente nuovo. In un mondo in cui si scrive e si parla anche troppo, il cinema muto è un modo per tornare a riflettere sul corpo, sui silenzi, sulle immagini, oltre ad essere un esperimento sulla recitazione. In fondo, le parole accomunano tutti i personaggi, ma secondo me sono le pause ed i silenzi a caratterizzarli.
Dal 2012 sono stati persi nel cinema circa 110 milioni di euro. Data la tua attuale posizione, a cosa credi sia dovuta questa flessione?
Non ritengo che ciò sia dovuto alla crisi economica. Gli otto euro del biglietto non penso costituiscono un grande limite per chi ha voglia di guardare dei film di contenuto. Il problema è che manca proprio quest’ultimo. La gente non riesce più a rivedere se stessa nel cinema. Gli attori sono sempre i medesimi, le trame anche e persino la cartellonistica pubblicitaria è monotona. Negli anni ‘60 e ’70 le persone si recavano al cinema non solo perché i registi erano dei veri artisti, ma anche perché i film rappresentavano un affresco perfetto di quella che era la storia e la società italiana del tempo.
Dal 2012 sei conduttore del Giffoni Film Festival per la categoria “+10” e fino a qualche ora fa sei stato impegnato nella sua 45esima edizione come conduttore della MasterClass e dei documentari. Come sei approdato in una delle più importanti rassegne cinematografiche per giovani e bambini?
Da piccolo seguivo in televisione questa manifestazione con passione al punto che chiesi a mia madre nelle varie edizioni di inviare la richiesta per parteciparvi, ma i tentativi non andarono a buon fine. Il primo giorno da allievo del Centro Sperimentale, proprio perché non ho mai dimenticato il bambino che ero, chiesi di avere un contatto con il Giffoni. In quell’anno, nel 2009, stavano nascendo le MasterClass, che accoglievano i ragazzi che si erano distinti tra i vari partecipanti delle passate edizioni per interventi particolarmente lodevoli. Nonostante non vi avessi mai partecipato proposi ugualmente di poter farne parte, e Claudio Gubitosi, il fondatore e direttore artistico del Giffoni, mi richiese una lettera di motivazione. Vi scrissi proprio quello che ti ho raccontato fino ad’ora e fui preso.
Carpe diem è il tema di questo Giffoni 2015. Cosa commenti a tal proposito? Hai sempre colto l’attimo o “hai perso qualche treno”?
Cogli l’attimo a mio avviso rappresenta cogli te stesso. Non ha a che fare con il tempo ma con se stessi: ascolta le tue passioni e i tuoi sogni. Credo di non aver perso alcun treno, perché il mio treno lo sto costruendo io stesso carrozza per carrozza, ma sto aspettando la ferrovia giusta dove farlo sfrecciare.
Quali ambizioni hai per il prossimo futuro?
La mia ambizione più grande è quella di migliorare nel mio mestiere per poter far emozionare e riflettere il pubblico sempre di più.
Twitter: @beatricegentili