Si è accesa una luce a Piazza San Giovanni
“Prima di fare del bene, chiedetevi quante delusioni siete disposti a sopportare”. Don Antonio ha 83 anni e nella predica che ha da poco concluso ha citato Goldoni e un paio di insospettabili star. È domenica 28 giugno, quattro serate della Festa della Solidarietà sono alle spalle, due devono ancora essere vissute. La chiesa è in uno dei quartieri più ricchi ed eleganti della Capitale, il nostro blocco dei biglietti della riffa di beneficenza ancora praticamente pieno. “Padre, i suoi parrocchiani non sono stati molto generosi”, gli diciamo demoralizzati, quasi infastiditi per l’alzataccia poco fruttuosa di quella calda mattina arrivata nel mezzo della maratona delle faticose giornate a Piazza San Giovanni. La sua risposta è quella che avete letto all’inizio dell’articolo. Usciamo dalla chiesa e ripensiamo alle parole appena ascoltate, osservando i fedeli allontanarsi, gli stessi che poco prima ci erano passati davanti facendo finta di non vederci o cimentandosi in goffi tentativi per lasciar intendere che, rovistando nel modello di punta del catalogo di Louis Vuitton appeso al loro braccio, proprio non avevano racimolato le poche monete che servivano per comprare il biglietto. La lezione è amara, Don Antonio ci sorride: lui deve averla imparata da tempo.
Piazza San Giovanni è a poche centinaia di metri da lì ma sembra un altro mondo. Una boccata d’aria fresca nell’inizio afoso di questa estate, un attimo per riprendere fiato e respirare. Un’oasi all’interno di una città appesantita dal clamore dei suoi problemi, un luogo in cui la voce delle singole persone intervenute ha coperto il frastuono di una società guidata da una classe politica che perde tempo a far rumore ma è ormai incapace di ascoltare. Noi quelle sei serate a Piazza San Giovanni le abbiamo vissute e non siamo mai stati, né mai ci siamo sentiti, soli.
Abbiamo lavorato accanto a giovanissimi volontari pronti a sacrificare una settimana di uscite serali per venire a dare un indispensabile aiuto, conosciuto associazioni in cui operano persone che hanno trovato una giusta causa in cui credere e per cui scendere in campo. Abbiamo imparato a salutarci nella lingua dei segni e a dirci che siamo amici. Abbiamo cenato seduti accanto a persone che mai avremmo incontrato sulle nostre strade, scherzato con chi forse non avremo più occasione di vedere. Abbiamo ascoltato le parole di Don Luigi Ciotti tuonare dal palco e invadere la piazza, trovato esempi di comunità solidali pronte a supportare giovani imprenditori con un sogno e capito che anche una partita a pallone può aiutare a sconfiggere la malattia mentale. Abbiamo scoperto che gli amici dell’Azione Cattolica sono la compagnia che chiunque dovrebbe augurarsi di avere alla propria tavola, che i Papaboys sono vulcanici anche quando il Santo Padre non c’è, che pure ai Boy Scout può capitare di restare intrappolati in una tenda che stanno montando e distruggere un cartellone mentre lo appendono, e che un Ministro deve nascondere la sigarette davanti ai flash perché la mamma non sa che fuma.
Siamo giunti alla conclusione che un prete con entrambe le braccia ingessate dalle spalle alle dita sa gestire la situazione decisamente meglio di quanto riesca a fare un vigile urbano alle prese con il traffico romano. La Banda Musicale della Marina Militare ha suonato per noi, si sono esibiti gruppi che nulla hanno da invidiare alle band internazionali. Attori e attrici hanno portato in scena storie di umanità, artisti con incredibili percorsi di vita hanno esposto le loro opere. Abbiamo provato l’ebbrezza di lasciare borse e computer incustoditi in un posto e ritrovarli dopo ore di nostra assenza, e di camminare in una piazza affollata senza aver paura. Abbiamo visto esseri umani non usare il cellulare per interi minuti e parlare guardandosi negli occhi, abbastanza interessati a chi avevano davanti da non sentire la necessità di essere contemporaneamente connessi col resto del mondo. Sono stati giorni in cui essere lì, alla Festa della Solidarietà, ci ha reso più forti davanti alla preoccupazione per le notizie arrivate da Tunisia, Somalia, Francia e Kuwait, ci ha fatto sentire più vicini al dramma del popolo greco, ha smorzato la rabbia per l’ennesimo venerdì nero del (pessimo) trasporto pubblico romano, vergognosamente a ridosso del lungo week-end del 29 giugno.
Abbiamo avuto il privilegio di essere circondati per sei giornate da brave persone, persone oneste, pronte a sacrificare tempo per gli altri, capaci di divertirsi senza bisogno di eccessi, persone che sarebbe una fortuna poter incontrare ogni giorno. Persone come forse tante ce ne sono ma che difficilmente vediamo, distratti dalla diffidenza verso chi non conosciamo e dal disgusto del marcio che ci viene gettato addosso da chi il bene della “cosa pubblica” dovrebbe farlo e non lo fa. “Accendiamo una luce”, era questo il titolo dato alla Festa. E ci dispiace sinceramente per coloro che non hanno trovato il tempo di venire a vedere questa luce illuminare un caotico spazio nel cuore di Roma, la stessa Roma di Mafia Capitale, delle violenze, degli scandali. Festa della Solidarietà. È difficile definire che cosa sia, la solidarietà. A Piazza San Giovanni abbiamo però scelto che senso darle. E voi?
Twitter: @Ludovica_Lops