Al Casilino 900, le ruspe solo per costruire

All’incrocio tra la Casilina e la Palmiro Togliatti, si intravede tra le fronde il casolare abbandonato dell’Agip, stuccato e verniciato di rosa salmone, recante la scritta “Associazione Nuova Vita”. Un edificio che sorge nell’area nota come Casilino 900, campo rom trasferito nel 2010. Addentrandosi attraverso una stradicciola, la sterpaglia comincia a diradare e si apre una piazzola abitata da molti bambini che giocano a rincorrersi. “Chi cerchi?” dicono loro, “Najo”, rispondo io. Mi conducono in un giardinetto e incontro una mamma che abita lì. Mi racconta del suo passato, di quando andava a chiedere l’elemosina di porta in porta, della vergogna provata e della decisione di non far vivere la stessa sua vita ai propri bambini. “Cerco di educarli, insegnando loro le nostre tradizioni, allontanandoli il più possibile da una vita di delinquenza”. La donna mi parla delle sue preoccupazioni, teme che la povertà possa condurre i giovani verso una condotta criminale e non vuole questo per i suoi figli. A raccontare la storia del Casilino 900 e dell’”Associazione Nuova Vita”, è la voce di Najo Adzovic, ex delegato ai rapporti con la comunità rom per il sindaco Alemanno e fondatore dell’associazione stessa.

Quale è stato il suo percorso e il suo ruolo all’interno della comunità rom del Casilino 900?

Comincio come rappresentante del Casilino 900, poi nel 2005 pubblico un libro con Palombi Editore, nel quale descrivo la situazione del campo, i disagi sia nella scolarizzazione dei bambini, tratto delle differenze etniche nelle comunità rom, racconto la mia storia, narro di come sono arrivato in Italia (ero sottufficiale, scappavo dal mio Paese): il libro si intitola “Il Popolo Invisibile Rom”. Nel Casilino 900, inizio a far eleggere dalla comunità i suoi portavoce, creo il primo consiglio direttivo di rappresentanti, ne eleggiamo cinque, provenienti delle varie etnie, macedoni, kosovari, bosniaci, montenegrini…

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Quante persone contava il campo? Quali erano le condizioni di vita della comunità?

Censiti eravamo 650, ma in realtà ad abitare l’area eravamo 800-850 persone, la maggior parte delle quali risiedeva in Italia da 30-40 anni, i loro figli frequentavano le scuole del VII Municipio. Era un campo non autorizzato, un campo semi-attrezzato, tollerato, ciò significa che nell’accampamento non avevamo bagni chimici, non c’era una fognatura, non c’era la luce, c’erano baracche fatiscenti, una stradina fangosa. Però ancora non mi spiego perché le Istituzioni non vogliano dialogare direttamente con le comunità rom, si servono di intermediari, associazioni non rom, che si occupano da anni di questo tipo di questione sociale, tuttavia non forniscono un aiuto concreto, in particolar modo a livello di inserimento lavorativo, scolastico, di identità giudiziaria. Al Casilino 900 avevamo 132 famiglie senza permesso di soggiorno. Le persone che vivevano in Italia da trent’anni non possedevano nessun documento di riconoscimento, però se fermate dalle forze dell’ordine, venivano necessariamente rilasciate in quanto da un lato non si poteva conoscerne lo stato di provenienza, dall’altro non avevano una regolarizzazione dal punto di vista giuridico e amministrativo, poiché lo Stato italiano non aveva rilasciato loro il desiderato permesso di soggiorno. Per questo motivo era loro precluso l’inserimento nel mondo del lavoro.

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Da allora, i progetti intrapresi sono stati numerosi, mi riferisco in particolare alla “casa di tutti”. Quali sono stati i risultati del vostro impegno?

Nel 2007-2008 comincia la collaborazione con comitati di quartiere, coi cittadini; iniziamo a muovere i primi passi verso l’integrazione. Coinvolgo la chiesa, gli istituti di medicina solidale, associazioni no-profit. Nel 2009, in campagna elettorale, il Casilino 900 diventa un punto del programma propagandato sia da destra che da sinistra: ognuno vuole sgomberare il Casilino 900, senza alternative. Attraverso la rappresentanza della comunità rom e del Consiglio degli Anziani, iniziamo ad organizzare dibattiti con studenti universitari, nei vari atenei di Roma. Cooperiamo con il gruppo Stalker/On Osservatorio nomade e con il dipartimento di Studi urbani dell’Università Roma Tre al progetto la “casa di tutti”. Una casa ritenuta una valida alternativa al container, auto-costruita grazie all’impegno della comunità rom e di numerosi volontari, con lo scopo di dimostrare che esistono soluzioni di mediazione per l’emergenza abitativa. Il primo prototipo praticabile per cittadini italiani, rom, per studenti. Essendo auto-costruita si diventa partecipi, responsabili del progetto, c’è maggior rispetto. Se c’è volontà politica si possono trovare alternative agli accampamenti. Il mio progetto si rivolge alle famiglie, le si aiuta a far sì che i bambini ricevano un’istruzione, che non delinquano. Si vuol tentare, insieme all’Amministrazione, di dar loro casolari, luoghi inabitati, dove costruire questo prototipo abitativo.

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Nel 2010 le è stato assegnato, dall’allora sindaco Gianni Alemanno, il ruolo di delegato ai rapporti con la comunità rom, quali furono le vicende che coinvolsero il Casilino 900? Come cambiò la situazione nei campi?

Nel 2010 firmammo il primo patto storico, sottoscritto tra la comunità rom e le Amministrazioni. Stipulammo questo accordo che poneva l’attenzione su grandi temi quali l’habitat, la casa, il lavoro, l’istruzione, con l’intenzione di trasferire i rom di Casilino 900 in altri campi attrezzati per sei-sette mesi, in attesa che queste famiglie andassero poi in alloggi predisposti: o che si attuassero queste auto-costruzioni, o che si tentasse in altro modo di inserirli nella società, cioè non nei soliti accampamenti. Furono tracciate le prime linee guida per il superamento dei campi.

All’interno dell’accampamento vigeva un regolamento che ogni famiglia era tenuta a rispettare, ogni famiglia doveva mantenere in buone condizioni sia la propria abitazione, sia lo spazio circostante, doveva mandare i bambini nelle scuole e usufruire degli sportelli atti all’inserimento nel mondo del lavoro. All’interno della comunità stessa si è avuta la opportunità di creare associazioni, cooperative, di essere riconosciuti dal punto di vista amministrativo. Ad alcuni abbiamo dato lavoro all’interno degli accampamenti. Nel campo autorizzato in via di Salone abbiamo sperimentato le prime votazioni democratiche per eleggere i cinque membri del Comitato Rappresentativo. È necessaria una responsabilizzazione. Bisogna pensare a come superare la microcriminalità o la criminalità organizzata, che purtroppo esiste.

Tutto, ora, si è frammentato all’interno degli accampamenti, il progetto sarebbe quello di riunirli e di capire insieme quale soluzione è in grado di migliorare la nostra situazione. Se noi riuscissimo a diventare validi interlocutori allora, aldilà delle Amministrazioni, allora sì che saremo buoni vicini di casa. Per far ciò è necessario partire dalla comunità rom, comprendere quali sono i nostri errori, le nostre emergenze e cercare di costruire un mondo intorno a noi. Abbiamo poi un ottimo dialogo con le associazioni cattoliche, da sempre, la mia guida spirituale è don Paolo, il mio punto di riferimento.

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Ora quest’area è di nuovo abitata, l’associazione Nuova Vita l’ha resa praticabile e vivibile. Come è cambiato il Casilino 900?

L’“Associazione Nuova Vita” ha la sua sede nell’ex Casilino 900, in cui sono ospitate anche due famiglie rom, le quali sono state costrette a fuggire da una situazione pericolosa che gravava su di loro nel campo precedente. Non stanno occupando, non appena hanno chiesto il nostro aiuto abbiamo offerto ospitalità, abbiamo anche informato le forze dell’ordine, scritto un regolamento: queste due famiglie divengono i custodi del parco. Nel frattempo ho cercato di comprendere se queste persone fossero aperte all’integrazione: loro, portano tutti i giorni i bambini a scuola, a volte le maestre vengono qua per far visita agli alunni e questa è una grande soddisfazione. Abbiamo bonificato il parco in un mese, un mese e mezzo, abbiamo piantato fiori, tagliato sterpaglia, creato un piccolo orto.

La volontà dell’associazione è quella di rappresentare un punto di riferimento per tutti. Ci stiamo attrezzando per ristrutturare questo vecchio edificio abbandonato, già la pavimentazione è completa. in più ci stiamo prodigando per l’allestimento di un ufficio, un oratorio per i bambini, una cucina per fornire pasti caldi a chi non ha di che mangiare. Piano piano con l’appoggio, anche economico, di numerosi volontari, il progetto si sta concretizzando, presto potremmo aiutare tutti coloro che ne hanno bisogno, senza distinzione di nessun tipo, soprattutto d’etnia.

La mamma montenegrina che abita nell’ex Casilino 900 mi saluta, mi ringrazia, “spero che almeno tu abbia capito che non tutti i rom sono criminali”.