Erdogan imbavaglia la stampa
Erdogan «smetta di fare il bullo con i giornalisti solo perché non gli piace quello che scrivono». E visti i fatti, a parlare “semplicemente” di bullismo ci va dopotutto leggero il Committee Protect Journalist, il comitato internazionale per la protezione dei giornalisti che dalla sua sede di New York ha condannato l’ennesimo attacco del presidente turco alla stampa.
Libertà di stampa e Turchia non vanno d’accordo già da qualche anno e a surriscaldare il clima in questi ultimi giorni c’è una campagna elettorale estremamente tesa, ormai giunta agli sgoccioli. Il casus belli è stato questa volta la rivelazione da parte del giornale Cumhuriyet della presenza di armi su alcuni camion dei servizi segreti di Ankara (Mit) diretti in Siria lo scorso anno. Su Cumhuriyet è stato pubblicato un video che mostra ispettori intenti a controllare container di metallo trasportati sui camion del Mit diretti in Siria. Secondo il giornale si trattava di armi e munizioni, nascoste sotto casse di farmaci con la scritta “fragile”, destinate ai gruppi armati jihadisti in lotta contro Assad. Certo si tratta di una grave accusa, ma la reazione di Erdogan è stata fuori da ogni limite di accettabilità. Il presidente turco non ha perso l’occasione per scagliarsi ancora una volta contro la stampa che gli è avversa e, intervenendo alla tv di Stato, ha fatto fioccare minacce: «La diffamazione contro i sevizi di intelligence nazionale e l’operazione di sorveglianza illegale è un’attività di spionaggio – ha affermato, per poi proseguire con tono intimidatorio – Chi ha scritto la storia pagherà a caro prezzo. Non gliela lascerò passare».
Già questo basterebbe per mettere alla berlina il comportamento del leader turco, ma non pago ha fatto di più: ha presentato un esposto in procura contro Dundar, il direttore del quotidiano, accusandolo di «partecipazione ad azione criminale insieme a membri delle organizzazioni parallele, con la pubblicazione di video e informazioni false consegnategli da organizzazioni parallele». Quando parla di “organizzazioni parallele” Erdogan si riferisce all’imam Fethullah Gulen e alla sua setta Hizmet, accusati di aver architettato lo scoop ai danni del presidente. A pochi giorni dalle elezioni ogni voce va limata e intonata ad un unanime inno a Erdogan, nel quale non sono ammesse note discordanti. Il legale del presidente turco, Muammer Cemaloğlu ha addirittura chiesto l’ergastolo per Dundar.
Molti giornalisti e intellettuali turchi hanno fatto fronte comune insieme a Dundar, evidentemente stanchi dei continui attacchi a cui sono sottoposti, e hanno fatto pubblicare sulla prima pagina di Cumhriyet le loro foto accompagnate dalla scritta “io sono responsabile”. Il giornalista è responsabile di ciò che scrive di fronte alla legge e ai suoi lettori, non di certo di fronte ai servizi di intelligence o alle richieste di un presidente. Questo concetto tuttavia non sembra essere chiaro in un Paese che, dal 2011, è stato incluso da Reporter Senza Frontiere nella sua lista dei sedici “sotto sorveglianza”. Secondo il rapporto di Freedom House già dallo scorso anno la Turchia è stata declassata da Paese “parzialmente libero” a “non libero”. Secondo la “gola profonda” che si firma con lo pseudonimo Fuat Avni, Erdogan, furioso per quest’ultima pubblicazione, potrebbe ordinare una nuova ondata di arresti di giornalisti. Del resto non sarebbe una novità: non è troppo lontano lo scorso 14 dicembre, quando il numero uno di Ankara fece partire un blitz in 13 città turche e fece arrestare 27 giornalisti a lui sgraditi. Alle proteste e alla condanna dell’Unione europea, Erdogan rispose così: «L’Ue si faccia i fatti suoi».