The Voice of Italy, il fair play che non vince
Settimana emotivamente faticosa per gli affezionati dei palinsesti televisivi. Anche quest’anno il mese di maggio si è concluso portandosi via gran parte della programmazione del servizio pubblico e lasciando a Mediaset gli ultimi scampoli di una stagione televisiva complessivamente dimenticabile. Così, mentre gli spettatori più sentimentali si preparano a colmare il vuoto lasciato da Magalli, Liorni & Co con la foca Robbie, la scimmia Charly e la principessa Sissi targata Romy Schneider, non restano che una manciata di puntate al cospetto della D’Urso, altrettante dalla Panicucci, la finale di Amici e poco altro per salutarci tutti e rivederci a settembre.
Molte cose ci sarebbero da dire su quanto visto negli ultimi, lunghi 9 mesi. Potremmo ricordare la convinzione della Carrà che non esistano in Italia persone più adatte di Asia Argento e Philipp Plein per giudicare la completezza artistica di quello che sarebbe dovuto essere “il nuovo Fiorello”, oppure parlare della sublime inutilità della presenza delle bionde Jas & Jay nel “Mezzogiorno in famiglia” di Rai 2 che solo chi ha visto almeno una volta può capire, o ancora indignarci per tutto il trash sparso qua e là e versatoci addosso senza ritegno. E invece decidiamo di dedicare questo articolo ad un programma conclusosi anch’esso nell’ultima settimana, senza rumore e senza eccessi: The Voice. O, più precisamente, The Voice of Italy, essendo il format nato in Olanda ed esportato poi nel resto del mondo.
Scegliamo di parlare di questo programma oggi, a conclusione del mese che segna, di fatto, la fine di questa stagione televisiva che precede l’interregno estivo, per prendere le distanze e opporci a tutta la pessima programmazione propinataci dal primo settembre ad ora, fatta di talk show con gente incapace di esprimere un’opinione mantenendo il tono di voce sotto la soglia degli ultrasuoni, di esasperante ed esasperata tv del dolore, di cose viste e riviste, di salotti affidati a conduttori o conduttrici dall’ormai discutibile credibilità con ospiti dai talenti sconosciuti. Scegliamo The Voice of Italy non perché sia il meglio di quanto visto o il punto massimo a cui la nostra televisione possa aspirare ma per aver rigettato parte di quei vizi che la caratterizzano da diverse annate.
Avere, ad esempio, una “giuria” in cui tutti i coach posso parlare con un qualche grado di competenza di quanto visto e sentito non è affatto cosa scontata: diversamente da quanto accade nei vari talent che prolificano sul suolo italico, a The Voice sono dei cantanti (più Francesco Facchinetti) a giudicare degli aspiranti tali. E lo fanno – Noemi e Piero Pelù dalla prima edizione, J-Ax e Facchinetti padre e figlio rispettivamente dalla seconda e da quest’ultima terza – senza quel bisogno di esasperare i toni della competizione come i colleghi di altre reti. La conduzione discreta ed educata di Federico Russo e l’angolo affidato a Valentina Correani che strizza l’occhio al mondo del web e fa così, furbamente, aggregazione, rinunciano al polverone di polemiche che ormai fomenta e nutre anche i programmi più insospettabili. Persino l’unica contesa di quest’anno, quella tra J-Ax e Facchinetti junior causa Fedez, si è conclusa ancor prima dell’inizio dello show, sublimata dalla pace sancita dalla frase “I love J-Ax” tatuata sulla coscia di Francesco in diretta.
Si genera, in questo modo, una pecca a cui non siamo quasi più abituati: il buonismo. Perché che i concorrenti siano tutti bravi, tutti belli, tutti destinati ad un grande futuro canoro non è affatto vero. Che quanto visto sia stato “incredibile” e “un grande spettacolo” nemmeno (soprattutto se, in un programma che si propone di mettere al centro la Musica, la massima star internazionale reclutata per la finalissima è Ariana Grande vestita da “Barbie sposa” e toccatrice compulsiva di capelli in pieno “Loredana Lecciso style”). Il fair play di The Voice è ammirevole e, in un mondo televisivo diverso dal nostro, sarebbe perfetto, ma, nella realtà, non vince. La media degli ascolti si è mantenuta bassa nelle edizioni del 2013 e 2014 (non superando rispettivamente il 13,74% e il 14,13%, quando nemmeno Suor Cristina riuscì a compiere il miracolo della moltiplicazione dello share), ed è arrivata quest’anno al 11.88%, e, cosa ancor più triste per un talent, di pochissimi concorrenti e per ancor meno tempo, si è poi sentito parlare.
The Voice è l’amara dimostrazione che ormai il successo televisivo si misura sulla base degli insulti di un ospite, delle liti tra i presenti in studio e delle minacce di querele che volano da un personaggio all’altro. Difficile, con questi presupposti, attendere con ansia l’inizio della nuova stagione. Meglio goderci, finché dura, la sobria compagnia di Robbie, Charly e Sissi.
Twitter: @Ludovica_Lops