Emergenza Codice Rosa: l’Umberto I contro la violenza di genere

Il 27 aprile 2015 è stata approvata all’unanimità la mozione dell’Assemblea Capitolina che prevede di estendere il Codice Rosa a tutti i Pronto Soccorso dell’Urbe. Tuttavia l’ “Emergenza Codice Rosa” è un servizio attivo fin dal 2008 presso il Policlinico Umberto I di Roma. Il progetto è nato dall’incontro della dott.ssa Lina Vita Losacco, responsabile dell’Area Salute dell’Associazione Differenza Donna, e l’assistente sociale del Policlinico dott. Massimiliano Mazzotta, “a partire da una situazione di violenza domestica”, racconta la dott.ssa Losacco.

Quali erano le risorse iniziali e le idee originarie del progetto “Emergenza Codice Rosa”?

Ogni situazione di violenza domestica impone un lavoro di intervento continuo, un piano d’azione elaborato da attuare in fasi successive. Di qui la necessità di strutturare il servizio di emergenza Codice Rosa. Nel 2012 con i contributi della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento Pari Opportunità, abbiamo potuto strutturare uno spazio d’accoglienza per donne vittime di violenza all’interno di due ospedali individuati anche per la loro localizzazione: il Policlinico Umberto I di Roma, l’ospedale più grande d’Europa, e l’Ospedale G.B. Grassi di Ostia. L’attivazione del Codice Rosa come codice situazionale permette di attivare un intervento integrato tra centro antiviolenza, ospedale e FFOO, nel momento in cui una donna vittima di violenza accede al Pronto Soccorso dove, in tal caso, le viene assegnato un codice giallo che le dà priorità per l’accoglienza sanitaria.

Un aspetto importante del vostro progetto è il sostegno fornito alla vittima ma anche la condivisione del problema insieme con il personale socio-sanitario presente all’accettazione. In che termini?

Allo sportello si accolgono le prime dichiarazioni verbali delle vittime ma anche le loro esternazioni emotive. Tutto ciò che sin dal primo momento potrebbe far pensare a una situazione di violenza di genere. Per il medico spesso l’aspetto più frustrante è vedere una donna massacrata restia a procedere in un iter giudiziario. In questi casi la donna va rispettata nella sua scelta e sostenuta nell’acquisire consapevolezza della sua condizione per poi fare i passi opportuni. E per questo importante e delicato intervento le operatrici del centro Antiviolenza sono delle specialiste.

A chi viene offerto il servizio? Quali sono le figure professionali impegnate in questo intervento specializzato?

La violenza di genere colpisce donne e minori e a loro noi offriamo il nostro sostegno. Da circa 20 anni mi occupo di donne e minori vittime di violenza con particolare interesse agli effetti conseguenti sulla salute psico-fisica, spesso seriamente compromessa.Il progetto E. C. R., iniziato nel 2008 in fase sperimentale, si avvale delle operatrici specializzate in violenza di genere di varie professionalità, assistenti sociali, psicologhe, educatrici, avvocate, che collaborano con gli specialisti della struttura sanitaria, tutti con il comune obiettivo di restituire dignità alle vittime.

Il Pronto soccorso spesso rappresenta la prima tappa dell’assistenza offerta alle vittime di violenza, cosa succede in questa fase iniziale?

Le dinamiche del primo colloquio si basano su una visione di genere. Il nostro intento è quello di far comprendere alla paziente che ritrovarsi in quella condizione non è legato a una questione di malattia. La violenza domestica ha una matrice culturale. Tutto è correlato con i ruoli di genere stabiliti socialmente. Lo stato di sottomissione in cui è costretta una donna è un problema culturale, di quella cultura del padre-padrone che regola la sua esistenza in base a norme preconcette. Il primo colloquio è progettuale per elaborare con la donna un piano d’azione, dopo averla informata a tutto campo su quello che è necessario fare (per questo è necessario un continuo aggiornamento per chiunque si occupi del problema)

Spesso le resistenze delle vittime son dovute a pressioni familiari, in che modo la famiglia d’appartenenza può ostacolare l’affrancamento della donna?

Solitamente si verificano due differenti atteggiamenti: nel primo caso, molto frequente, si tratta di una famiglia di origine in cui c’è stata una condizione di violenza domestica, in cui la stessa figura materna ne è stata vittima e indurrà sua figlia a pensare a un destino ineluttabile “a cui non ci si può ribellare”. In altri casi la famiglia della donna mette in guardia la propria figlia rispetto all’ipotetico maltrattante avendo sentore di una personalità aggressiva e prepotente, consigliandole di allontanarsi dall’ uomo “non adatto” a lei. Tuttavia, non appena l’uomo percepisce queste preoccupazioni, pone la vittima di fronte a una scelta, le chiede di rinunciare ai propri genitori per amor suo, costringendola ad un isolamento, senza nessun appoggio affettivo. Per cui quando la donna chiede di uscire dalla violenza si interviene sul ricongiungimento familiare per fornirle più forza.

Il vostro intervento integrato permette la cooperazione tra varie figure professionali, come si coordinano nelle loro azioni?

In ambito sanitario le vittime di violenza non sempre rivelano la loro condizione e la richiesta d’aiuto non è esplicita. Per questo gli operatori del triage hanno fatto una formazione per individuare quegli indicatori di una ipotetica condizione di violenza, al di là del riferito, cosicché la donna possa essere “agganciata” da un assistente sociale e dalla operatrice della nostra associazione che fornisce alternative e soluzioni alla vittima o anche forme di tutela. Differenza Donna ha sperimentato un intervento Codice Rosa anche presso i consultori, come è avvenuto presso alcuni consultori della ASL RM/D e RM/G, o con le forze dell’ordine che, in applicazione della ultima legge sul femminicidio, nei casi di violenza di genere, inviano le donne presso i Centri Antiviolenza. Il primo modello sperimentale di Codice Rosa Integrato è stato realizzato a Tivoli che vede all’opera il Commissariato di Polizia, il personale sanitario, le operatrici del Centro Antiviolenza Le Lune in sinergia per contrastare il fenomeno della violenza di genere.

L’azione reticolare che presiede ad ogni intervento garantisce protezione alla vittima. Il “percorso rosa” permette a donne private della propria identità da una violenza di genere di riappropriarsi della propria vita, di combattere con “le spalle coperte”.