Che Guevara combatterebbe al posto giusto
In occasione della visita in Italia di Juan Martin Guevara, fratello del Che, impegnato in una serie di conferenze, lo spirito di Ernesto è tornato a far vibrare per un attimo i cuori della rete.
E’ infatti a margine dell’intervista condotta da Maurizio di Fazio, giornalista dell’Espresso, che molti di noi, cresciuti sotto il mito del Che, hanno trovato l’occasione di commuoversi ancora; in quelle ultime battute, quando in risposta alla domanda dove sarebbe oggi suo fratello “Che” Guevara? Juan Martin risponde senza esitazione: sarebbe e lotterebbe nel posto giusto, dove prosperano le più grandi ingiustizie.
Viene subito da chiedersi dove sia quel posto, se sia ancora possibile far parte di quella lotta, e quali siano i suoi principi, le ragioni che rendono ancora così affascinante il “Mito del Che”. La risposta di Juan è allo stesso tempo realistica e spiazzante: “molte delle cose per cui il Che ha combattuto non sono state ancora realizzate, è per questo che i giovani continuano ad adottarlo”.
Il rischio di un mito tuttavia è di finire tramandato come una leggenda, in un mondo lontano come quello degli stregoni e delle fate, e di venir sacralizzato in un’ampolla di vetro, a volte intangibile, che gli impedisce di fare i conti con la storia, e soprattutto con la storia futura. Perché è questo il senso delle parole di Juan, e della vita del Che: “Credo di avere una missione da compiere nel mondo – dichiarava in una intervista degli anni ’60 – sull’altare della quale devo sacrificare tutto […] e forse la vita stessa. Questo è il mio impegno, da cui non posso esimermi per tutta la vita”*.
Non bisogna certo essere argentini o sud-americani per combattere quella battaglia; basta essere cittadini del mondo, determinati – come egli stesso scriveva alla madre – a scagliarsi contro l’ordine delle cose, lancia in resta e pieno di sogni*. Tenendo ben presente la carica terrena e concreta di quei sogni e degli ideali che hanno animato la vita del Che, disposto umilmente a combattere in tutti gli angoli della terra dove i poveri si sollevassero contro i fautori delle ingiustizie, e del tutto alieno alle adulazioni narcisistiche che ne hanno fatto un’icona, un’immagine lontana dalle vite concrete della gente. Perché Che Guevara aveva dentro una fiamma sacra, un fervore che lo esaltava e lo addolorava allo stesso tempo: la consapevolezza di non combattere per sé, ma di combattere, ed essere parte di un noi. Un noi cui non rinunciò mai fino alla morte, continuando sempre ad avere in odio quell’individualismo volgare indifferente nei confronti del prossimo.
Poiché per tutte le grandi imprese ci vuole passione, e per la rivoluzione servono forti dosi di passione e audacia, cose che possediamo solo quando siamo uniti tra di noi*.
La parte giusta dove il Che ha combattuto sarà sempre nelle corde del mondo, finché anche solo uno proverà forte una stretta al cuore e, pur con tutti i suoi limiti, sentirà di essere lì, dalla parte dei sogni, uniti nella lotta contro l’ordine delle cose. Perché Ernesto “Che” Guevara non è stato un grande eroe solitario, ma un grande compagno.
L’intervista di Maurizio di Fazio a Juan Martin la trovate al seguente link di Repubblica-L’espresso.
*i corsivi e i tratti delle lettere riportati sono ripresi da Ernesto Che Guevara, La Storia sta per cominciare.