Morto un califfo se ne fa un altro
Qualche voce, risultata poi mendace, era già circolata a novembre e poi a dicembre scorsi, ma stavolta è l’edizione online del Guardian britannico a garantire la fondatezza della notizia: a marzo il califfo Abu Bakr al-Baghdadi, leader dell’autoproclamato Stato Islamico, è rimasto gravemente ferito, sotto le bombe di un raid condotto nell’Iraq occidentale dalla coalizione a guida Usa. Una fonte collegata a gruppi terroristici in Iraq avrebbe rivelato al Guardian che l’attacco ha messo in serio pericolo la vita del califfo, il quale tuttavia sembra si stia ora riprendendo, pur senza aver riacquistato il controllo operativo dell’organizzazione.
Colpire alla testa dell’Islamic State è senz’altro un gran colpo per la coalizione anti-jihadista. Al-Baghdadi è una preda che fa gola, dopotutto è l’uomo che è arrivato laddove nemmeno Bin Laden aveva mai osato: è stato il primo a proclamarsi “califfo” dandosi il titolo di Abu Bakr, cioè appunto “successore di Maometto. È stato inoltre il primo a dotarsi di un vero e proprio esercito animato dal delirio di imporre l’islam al mondo intero. Sicuramente si tratta di un leader che ha saputo sfruttare bene la comunicazione social, è un nemico pericoloso, ma esultare per una sua eventuale fine sarebbe un errore da principianti. A ben vedere al-Baghdadi non vanta un backgroud eccellente né dal punto di vista dottrinale né da quello militare. Studente mediocre, che non riuscì a farsi ammettere alla facoltà di Legge, fu anche riformato dalla leva militare per carenze fisiche. Ci sarebbe da pensare che si tratti di una testa di legno posizionata al vertice dall’intelligence dello Stato Islamico.
L’Is, così come Al Qaeda e qualunque altro gruppo terrorista, è come l’idra: se gli si mozza una testa gliene ricrescono altre tre. Al Qaeda è sopravvissuta a Bin Laden e non poteva che essere così. La chiave è darsi una struttura organica, nella quale un uomo può facilmente essere sostituito con un altro, forte di un continuo afflusso di risorse umane che sono figlie naturali dell’instabilità politica e del caos sociale di certi territori. Anche lo Stato Islamico è un organismo ben strutturato e definito, che risorge dalle ceneri della dittatura di Saddam Hussein. Izzat Ibrahim al Douri, Vicepresidente ai tempi di Saddam, è considerato la mente dell’Isis in Iraq ed era uno dei più ricercati dal Pentagono. È stato ucciso questo 17 aprile. Altra testa caduta è quella di Khlifawi: noto anche col falso nome di Haji Bakr, anch’egli colonnello che ha gravitato nell’orbita di Saddam, è l’uomo che ha previsto l’espansione del Califfato in Siria. Dunque la vecchia guardia della dittatura di Hussein ha trovato la strada per riproporre schemi e meccanismi nell’Is, che tutto è fuorché un manipolo di folli guidati da un invasato. Nell’appartamento di Khlifawi, rimasto ucciso a gennaio durante un conflitto a fuoco, sono stati trovati documenti chiave che svelano la rigida ossatura dell’impero islamico. Il der Spiegel è entrato in possesso di alcuni di questi documenti e li ha pubblicati, svelando un’organizzazione piramidale, con figure che restano a volte segrete l’un l’altra e che svolgono ruoli di controllo reciproco. E l’idra affiora tra le pagine e svela le sue innumerevoli teste, pronte a prendere il posto chi di chi muore sul campo.
E allora cosa cambierà se le ferite riportate da al-Baghdadi avranno la meglio su di lui? Non accadrà niente: lo Stato islamico non andrà nel caos ma si sarà già consultato per decidere il successore. Nessuna votazione, nessuno stallo politico. Si può sparare a un uomo, se ne possono catturare cento ma non se ne possono fermare migliaia se non si indaga la loro insoddisfazione e se non si placa il loro odio, armato dalla mano facoltosa Arabia Saudita che, finanziandoli, ne moltiplica le teste.
@Fra_DeLeonardis