Il provvedimento disciplinare: la valenza del fatto materiale

La Suprema Corte di cassazione ha affermato il principio secondo cui risulta sproporzionato il licenziamento intimato a un lavoratore per non avere comunicato di essere già proprietario di altri beni immobili, in considerazione del fatto che usufruiva già di un alloggio del datore di lavoro a condizioni vantaggiose,

Il caso di specie riguarda ad un lavoratore che aveva taciuto sulla sua reale situazione abitativa allo scopo di continuare a beneficiare dell’alloggio messo a disposizione dalla Scoeità e per cui corrispondeva un irrisorio canone di affitto.

La condotta del lavoratore, secondo quanto eccepito dal datore di lavoro, risultava essere “aggravata” dalla circostanza che il predetto aveva omesso di comunicare la sua situazione abitativa anche dopo che la Società aveva espressamente richiesto una comunicazione in tal senso.

In forza di tale assunto, secondo cui  la Suprema corte valorizza e riconosce l’esistenza degli addebiti mossi in sede disciplinare al lavoratore e ne censura il comportamento contrario ai canoni della correttezza, facendo applicazione dell’articolo 18 della legge 300/1970, ha confermato la condanna del datore alla reintegrazione in servizio e al versamento di un indennizzo risarcitorio corrispondente alle retribuzioni perdute dal lavoratore a seguito del licenziamento, dedotto unicamente l’aliunde perceptum.

A tal proposito si evidenzia che alla luce della nuova disciplina sul contratto di lavoro a tutele crescenti, una sentenza di reintegrazione sul posto di lavoro, in presenza di analoga dinamica processuale, non sarebbe stata possibile.

Difatti con il decreto attuativo, presentato dal Governo il 24 dicembre 2014, si prevede che solo ove si verte esclusivamente nell’ipotesi di licenziamento disciplinare, il giudice annullerà il licenziamento e condannerà il datore di lavoro alla reintegrazione. In tutte le altre ipotesi in cui sia confermato il giudizio di illegittimità del licenziamento. Viceversa, il lavoratore potrà beneficiare esclusivamente di una tutela ricollegata alla sua anzianità di servizio, la cd. tutela crescente.

Si rileva dunque che in forza della nuova disciplina, la reintegrazione può essere concessa dal Giudice solo ove in presenza di un fatto che, all’esito del processo di merito, riconosca l’insussistenza del provvedimento, trasformando la reintegrazione solo in una “misura residuale”.